Close

Artisticamente Magazine

Antonia Truppo: «Noi artisti dobbiamo comprendere che il parlarsi addosso non produce affetto da parte degli spettatori»

Antonia Truppo: «Noi artisti dobbiamo comprendere che il parlarsi addosso non produce affetto da parte degli spettatori»

Tempo di lettura: 10 minuti

 

ANTONIA TRUPPO ha un volto che comunica ancor prima di cominciare a proferire parola. Quando è arrivata nella sala del Cinema La Compagnia di Firenze per il nostro incontro si sentiva quel calore di chi è contento di essere lì nel ruolo di giurata della XIV edizione di France Odeon, senza dimenticare mai la posizione di spettatrice e artista. In virtù di questo, abbiamo colto l’occasione anche per spaziare tra i tanti progetti realizzati nell’arco della sua carriera fino ad oggi, tra cui “Piano Piano”, che è come se fosse un ‘figlio’ (leggendo potrete cogliere perché ci permettiamo di definirlo così).

Antonia Truppo e la sua esperienza da giurata a France Odeon 2022


D:
Tenendo conto di tutti i lavori visti come giurata, quale percezione ha avuto della selezione?

«Da noi non arriva tutto ciò che si realizza del cinema d’Oltralpe, dove le opere sono molto salvaguardate. Ho notato che non si va mai sotto un certo standard, l’aspettativa è soddisfatta rispetto a una media generale – va tenuto conto che stiamo parlando di un festival dove i film sono stati già scremati tra tutte le iscrizioni avute. Confesso che proprio in questo periodo, quasi per caso, mi sono ritrovata a recuperare dei film di François Ozon che mancavano all’appello e devo dire grazie anche alle piattaforme. Purtroppo la distribuzione, in Italia, dei film stranieri, che non siano prettamente americani, ha sofferto molto ultimamente».

Antonia Truppo France Odeon 2022
I membri della giuria (presieduta dal regista Fabio Grassadonia e composta dall’attrice Antonia Truppo e il produttore Riccardo Neri) e Andrea Romeo di I Wonder Pictures. Questi ha ritirato il premio Foglia d’Oro Manetti Battiloro France Odeon 2022 per “Annie Colère” della regista Blandine Lenoir

D: Durante la visione del documentario “Passion cinéma” per la regia di Francesco Ranieri Martinotti (direttore anche della kermesse e prodotto da Enrico Castaldi), è emersa una questione importante: il fare comunità al femminile. Ad esempio Noémie Lvovsky co-sceneggia spesso con Valeria Bruni Tedeschi. In merito a “Piano Piano che ti coinvolge direttamente, sei alla prima esperienza come co-sceneggiatrice insieme a Nicola Prosatore (ne è il regista, oltre a essere il compagno di Antonia Truppo).

«Sia io che gli altri membri della giuria abbiamo notato come diversi lungometraggi presentassero una tematica comune, molto attuale, un modo differente di affrontare certi punti con uno sguardo al femminile. Mi sono interrogata sulla loro capacità di essere così sul pezzo: o sono così avanti da essere riusciti a intercettare un problema cogliendone la vastità oppure sono in grado di dar vita a un film in maniera più tempestiva. A proposito di “Piano Piano” è stato apprezzato velocemente sulla carta, poi, però, tra il dire e il fare, sono trascorsi sette anni… va da sé che un’opera come questa, con tanti contenuti, compresa la denuncia sociale – quest’ultima la si può cogliere in alcuni dei lungometraggi visti a France Odeon perciò mi ha stupita come siano riusciti ad affrontare la realtà in tempi stretti. Noi, invece, non riusciamo a starci dietro, ci arriviamo con un ritardo e una fatica notevoli. I piccoli film, quelli indipendenti sono quelli che maggiormente si accostano al sociale perché hanno la capacità di cogliere una parte più profonda della realtà».

Antonia Truppo racconta un’opera che le è a cuore: “Piano Piano”


D:
Ho letto che “Piano Piano” avete anche dovuto co-produrlo…

«Sì con Briciolafilm, la casa di produzione di Nicola che da anni investe in documentari e opere indipendenti. Sono diventata sua socia in maniera tale che potesse essere libero durante la preparazione del film. I co-produttori (Ministero, Regione Campania e Rai Cinema) sono i partner grazie ai quali si è potuto realizzare. La difficoltà consiste nell’avere accesso a quel credito che ti viene concesso; per fortuna ci sono stati degli enti nazionali che ne hanno riconosciuto il valore, nonostante ciò è stato un percorso molto lungo».

Antonia Truppo Piano Piano

D: “Piano Piano” mi ha toccata molto, trasmettendomi anche una sensazione tra malinconia e nostalgia, con un barlume di speranza. «I grandi si fanno male, che c…o di fretta avete di crescere. Dovete correre come se non ci fosse del tempo», afferma il Mariuolo interpretato da Antonio De Matteo. È significativo che sia proprio lui (di cui non vogliamo spoilerare troppo) a rivolgere queste parole alla tredicenne Anna (Dominique Donnarumma) – l’ho letto come uno dei punti chiave.

«La pre-adolescenza è quel periodo della vita che dura pochissimo proprio perché si è ‘in mezzo’: non sei più quello di prima anche fisicamente e non sei, ancora, quello che verrà dopo. Forse è un’età in cui si cerca di superare dei limiti anche facendosi male per poter sentire le cose veramente. Questa figura del malavitoso – condizione molto limitrofa rispetto alla storia centrale – diventa un mentore, come se racchiudesse quella idea di adulti che non riescono ad avere un contatto coi propri figli. Lui, in questa bolla fuori dal tempo se vogliamo fuori dal tempo, diventa una metafora con cui i ragazzi possono stare a stretto contatto con la propria emotività e crescere».

D: A proposito del rapporto genitori-figli, come madre di Anna vuoi scappare da quella casa e proietti su di lei ciò che non hai avuto…

«L’idea di ambientare il film in quel periodo (a Napoli nel 1986-87) è nata in parte per l’età anagrafica del regista, il quale ha voluto fortemente che questa storia fosse scritta in questo modo ed è connessa alla mia vicenda. Ho scritto dei ricordi personali su sua richiesta e poi li ha orientati verso il racconto che desiderava narrare. Quel momento storico, visto da lontano, si può dire che sia stato la ‘pre-adolescenza’ del mondo che è venuto, c’erano un certo tipo di lentezza e di comunicazione, con quest’ultima che, con gli anni e la tecnologia, si è sclerotizzata. Probabilmente quella fretta che sentono i personaggi nel voler crescere era un po’ quello scalpitare di allora – basti pensare a come abbiano attratto i vestiti provenienti dall’America. Quel tipo di fretta, che oggi ci risulta ‘lenta’, era il preludio di ciò che si è verificato. In questo senso comprendo bene la nostalgia perché scaturisce dal pensiero di ciò che avevi e che non sapevi che avresti perso».

Tra radici e ricordi


D:
 Cosa significa per te ‘casa’?

«Sono una persona che ha vissuto un grosso trauma perché l’esproprio l’ho vissuto direttamente e credo che, da quel momento, ho cominciato a vagare, ritrovandomi ‘divisa’ tra il bisogno di cambiamento e quello di stabilirmi in un luogo sicuro. Il personaggio della madre ha uno slancio migliorativo di sé, della propria condizione anche ingenuo visto che nessuno ti regala niente; dall’altra parte la figlia deve fare un passaggio essenziale: abbandonare le cose ‘da piccoli’».

D: Esiste qualcosa di quando eri piccola che pensi di non aver voluto abbandonare?

«Personalmente non avrei voluto lasciare la casa dove sono nata. Nel film non è così, ma si intuisce una certa crudezza, con l’azione dei carabinieri… chiaramente non è bello, non è civile, di qui i traumi. Va detto che il lungometraggio non indugia su questo, c’è sempre lo sguardo della ragazza che interagisce con ciò che avviene a modo suo, a volte alcune situazioni sembrano anche divertenti».

Antonia Truppo Piano Piano

D: Quando lo potranno vedere gli spettatori?

«È partito come una grande scommessa, poi, è proprio il caso di dire ‘piano piano’, dopo la prima assoluta in concorso alla 75esima edizione del Locarno Film Festival, a ridosso della proiezione all’interno di “Alice nella città”, c’è stato il contatto con questo grande distributore, I Wonder Pictures, per cui dovrebbe uscire in primavera».

D: Cosa vorresti che assolutamente arrivasse?

«Al di là del gradimento personale (so che non si può piacere a tutti), ci sono una grande onestà e un grande cuore alla base. Secondo me c’è un bello sguardo del regista, che ne ha fatto un’interpretazione con un proprio linguaggio. Non c’è né una regia violenta né dimessa, ti accompagna e questo è l’aspetto maggiormente riuscito, laddove pure tutto ciò che è estetico, risulta propedeutico al racconto. Si vede un mondo molto vero, che io ho conosciuto, e non è importante che sia descritto realisticamente, ma che arrivi come vero; non è una Napoli triste nonostante la vicenda sia ambientata in un contesto borderline. Mi auguro che si colgano i colori, i suoni, il sole, un popolo che è divertente e questo l’ho toccato con mano, mi riconoscono in tutto questo, compresa l’incapacità di comunicare col mondo esterno – anche perché allora non si sapeva se fosse una periferia, in effetti lo è, ma non conoscevamo cosa sarebbe diventata.
Nella realtà, noi siamo stati mandati nelle case popolari e io avevo quattordici anni. La prima volta in cui ho fatto questo percorso in macchina, quindi idealmente sono passata dentro quella che era casa mia, ne avevo trentadue (questo pezzo di strada è stato ultimato dopo quindici-diciotto anni) e già mi ero trasferita a Roma
».

Un tuffo con Antonia Truppo in alcuni progetti teatrali


D:
 Passando all’ambito teatrale, mi piacerebbe un tuo ricordo di Carlo Croccolo

«È stato il mio primo capocomico con la scarpettiana, con cui sono stata catapultata nella dimensione un po’ antica del teatro sia perché gerarchica, ma anche per situazioni assurde. Interpretavo Pupella in “Miseria e nobiltà” (il ruolo classico dell’attrice debuttante napoletana); dopo poco, la ragazza con la parte di Luisella rimase incinta e mi ritrovai a sostituirla al volo. Com’è giusto che sia ho sentito il desiderio di provare altro per cui mi sono trasferita nella Capitale e, conoscendo le persone, sono approdata nell’ambiente teatrale».

Antonia Truppo
“Taddrarite”, scritto e diretto da Luana Rondinelli – Ph Pino Montisci

D: Dove sei venuta a contatto con Carlo Cecchi

«Lui era – ed è – ritenuto un grande maestro, affiancandolo spesso a Peter Brook. Mi ha apprezzata sempre tanto e mi disse: “Non hai fatto in tempo a inguaiarti” – chi lo conosce sa com’è. Una personalità di grande spessore intellettuale, ma non coglievo allora tutto ciò che diceva; ciò che posso affermare [si sente una grande sicurezza nel tono di voce] è che, anche senza sconti, mi ha insegnato a capire un aspetto che non cambia mai (sia che stiamo parlando di teatro che di cinema): la relazione tra l’attore-il proprio personaggio, i suoi compagni in scena e il pubblico verso il quale è rivolto tutto. È sempre stato un regista che non ha mai amato definirsi tale perché ha insegnato a recitare asserendo all’attore: “Sai tu ciò che devi fare” – non ha mai detto come o dove ci si dovesse mettere – dando, quindi, una grande responsabilità, che corrisponde alla più grande libertà. Ritengo che questo metodo non abbia un confine, mi sono sempre ritrovata ad applicarlo, avendo la coscienza di dove e con chi sto e interrogandomi su chi deve capire».

Antonia Truppo
“Sei personaggi in cerca d’autore”, regia di Carlo Cecchi

D: Oggi stanno soffrendo maggiormente le sale cinematografiche rispetto a quelle teatrali

«Mi fa piacere che i teatri stiano soffrendo di meno. È molto complesso analizzare questo momento in atto visti i tanti fattori in campo. Da persona che calca le tavole del palcoscenico, devo dire che il teatro ha dovuto fare un mea culpa perché spesso gli spettatori si addormentavano: non si può ‘scaricare’ sul pubblico dicendo che non capisce, deve anche ammettere che sei tu che non stai andando verso il pubblico. Questo discorso è alla base di ogni cosa. Mi chiedo continuamente rispetto a tanti progetti cinematografici e televisivi che realizziamo a chi si rivolgono. Si sta coltivando qualcosa o ce la stiamo raccontando?

Antonia Truppo
“Qui rido io” di Mario Martone

Certo può capitare che un film o uno spettacolo ben riuscito può passare inosservato perché non c’è una struttura che lo sostiene. Noi artisti dobbiamo comprendere che il parlarsi addosso non produce affetto da parte degli spettatori. Perché non ci si pone il problema che alcune sceneggiature sono scritte male? Gli attori devono sistemarsi le parole in quanto non funzionerebbe com’è scritta la battuta. Al contempo la nostra politica non si è impegnata nel proteggere come avrebbe dovuto queste arti, che sopravvivono al tempo. Il cinema francese ha messo in atto un grande protezionismo altrimenti i ‘piccoli gioielli’ sono irrealizzabili. In passato la nostra industria lo sapeva fare: ho il pezzo buono, ma soffre quello più difficile e ho il pezzo più facile, ma sono consapevole che non è il più bello e uno nutre l’altro, altrimenti, alla lunga, resta quello che si vende con più semplicità, ma chissà se col tempo sarà sempre così facile».

D: Con Mario Martone hai realizzato “La serata a Colono

«Lui è un’antica conoscenza, anche perché il teatro – seppur con le sue contraddizioni – è una grande famiglia. Si trattava di un inedito scritto da Elsa Morante. Quando ho conosciuto Cecchi (il quale ha avuto uno stretto rapporto intellettuale con lei) girando “Luna rossa” di Capuano, stava cercando questa Antigone particolarissima e ci siamo incontrati su questo personaggio. Nel frattempo sono trascorsi dodici anni di tournée su altro e “La serata a Colono” rimaneva lì, come un ‘debito’, ma che forse non aveva il coraggio di affrontare. Martone aveva realizzato “Operette Morali” (uno spettacolo con una natura letteraria), so che Carlo era rimasto folgorato da questa messa in scena e ha pensato che Mario sarebbe stato il regista giusto per questo testo rimasto nel cassetto».

Antonia Truppo La serata a Colono
Ph Mario Spada

D: A France Odeon è stato presentato “La Grande Magie” della Lvosky, liberamente tratto dall’opera di Eduardo. Questi, quando gli hanno chiesto cosa avesse voluto dire con quest’opera, aveva risposto: La vita è un gioco e questo gioco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede. Ogni destino è legato ad altri destini, in un gran gioco eterno, del quale non ci è dato scorgere, se non particolari irrilevanti. Da partenopea e da chi ha masticato determinati testi, qual è il tuo sguardo su questo?

«I grandi drammaturghi del Novecento, basti pensare a Pirandello, hanno esplorato ampiamente questa tematica: come il teatro si nutra continuamente della realtà e della relazione con la finzione. È il preludio anche della Settima Arte: è un’illusione dove tutto appare vero, ma poi è finto.
Quello era sicuramente un momento di grande passaggio: da un teatro che aveva le sue radici profonde nella Commedia dell’Arte (per quanto riguarda l’Italia) e, quindi, dalla maschera ai personaggi, implicando di conseguenza una drammaturgia differente… quasi una necessità di voler svelare il gioco che c’era dietro».

Antonia Truppo è Anna nel film tv “Tutto per mio figlio”


D:
 Mi piacerebbe concludere questo dialogo parlando del film tv “Tutto per mio figlio” in onda su Rai1 il 7 novembre. Cosa ha lasciato in te il ruolo di Anna?

«Ho sentito molto le scene, mi sono lasciata andare allo stato d’animo di questa donna e ho avvertito una grande fatica ad amare l’eroe (il marito interpretato da Giuseppe Zeno, nda). Sarà un pensiero poco nobile, ma lo avrei più trattenuto che lasciato andare… forse l’amore vorrebbe questo».

Antonia Truppo Tutto per mio figlio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Close