Dopo aver dialogato con CAMILLA SEMINO FAVRO sorge spontaneo augurarle di continuare in tappe che possano farla maturare, dandole anche l’opportunità di dar vita a figure femminili che rifuggono agli stereotipi (uno dei suoi crucci). «Ludovica in “Vostro onore” (con Stefano Accorsi, nda) deve operare una scelta etica e morale, che in situazioni di grande stress può essere inquinata. In “Sopravvissuti” ci si ritrova in un luogo in cui si è spogliati di tutto, si prova la sete, la fame, non si sentono più le dita e, anche una volta che rientri e cominci a essere nutrito e vestito, dentro è come se fossi ancora infreddolito, rimane sempre quello stato emotivo sclerotico». Sono due dei titoli in cui si è contraddistinta e con l’inizio del 2023 si ‘presenta’ in una parte impegnativa: a lei è toccato indossare i panni di Rita dalla Chiesa nella serie “Il nostro Generale” per la regia di Lucio Pellegrini e Andrea Jublin (in prima visione su Rai1 9-10 e 16-17 gennaio e su RaiPlay). A quarant’anni dalla strage di Via Carini (3 settembre 1982), la serie racconta la storia del Nucleo speciale antiterrorismo creato dal Generale Carlo Alberto dalla Chiesa (Sergio Castellitto) per combattere l’attacco delle Brigate Rosse allo Stato in quella che fu una vera e propria guerra per la difesa della democrazia.
Camilla Semino Favro è Rita dalla Chiesa ne “Il nostro Generale”
D: Quale tipo di dialogo si è instaurato con Rita dalla Chiesa e cosa hai scoperto rispetto a ciò che sapevi?
«Questa fetta della Storia viene raramente toccata a scuola. Poter prendere parte a questa serie mi ha dato l’opportunità intanto di studiare e approfondire come si fa per qualsiasi personaggio; in questo caso la signora dalla Chiesa è stata generosa e presente, io ho cercato di entrare in tutto quello che è una sfera familiare con grazia e in punta di piedi, dandosi delle possibilità di fare delle proposte – proprio perché non si tratta di imitazione dei personaggi, ma si cerca di dare un proprio punto di vista attingendo dal personale bacino culturale. Per me è stato emozionante e vivificante mettere i piedi in qualcosa che non conoscevo e che non ho vissuto in prima persona essendo anche nata successivamente. La signora dalla Chiesa ci ha dato l’opportunità di aprire delle porte nella loro vita (inglobando anche i fratelli Simona e Nando), che sono molto personali… è stato un atto generoso e bisogna averne cura».
D: Hai avvertito la grande responsabilità essendo una storia realmente accaduta e una ferita ancora aperta?
«Confrontandomi con gli altri attori che hanno interpretato i fratelli potrei dire che sentivamo il peso della storia che ha vissuto quella famiglia piuttosto che il ‘peso’ del personaggio in sé per sé».
Camilla Semino Favro racconta il progetto di “Sopravvissuti”
D: Come sei stata coinvolta nel progetto di “Sopravvissuti” (vi consigliamo di recuperarlo qualora non lo abbiate visto durante la messa in onda) e quale reazione hai avuto scoprendo che la sceneggiatura era frutto di un gruppo di giovani della scuola di scrittura?
«Non sapevo chi ci fosse dietro alla sceneggiatura, l’ho scoperto dopo. Sono andata a fare il provino abbastanza a ridosso dell’inizio delle riprese (era fine agosto e abbiamo cominciato a girare a ottobre). Sapevo che Carmine Elia stesse facendo questi provini da diverso tempo per cui non pensavo che mi avrebbero chiamato all’ultimo. Non sapevo niente del progetto: quando sono arrivata c’erano Carmine, l’assistente alla regia e Pia Lanciotti, la quale già sapeva di avere la parte di Anita (la madre di Gabriele/Alessio Vassallo, marito del personaggio della Favro, nda). Ho sostenuto il provino con lei, è stata un elemento fondamentale sia per la mia tranquillità sia perché è un’attrice eccezionale – abbiamo lavorato insieme anche in teatro. Con lei avevo molte scene sul set essendo due ruoli che si legano tanto all’ interno della storia. Non ero a conoscenza di questo meraviglioso gruppo di giovani sceneggiatori che hanno fatto un grande lavoro».
D: Nel corso della conferenza stampa è stato evidenziato come si volesse creare un prodotto che fosse competitivo rispetto anche alle piattaforme. Spesso sussiste, da parte di alcune persone, ancora il ‘pregiudizio’ che la tv generalista non possa arrivare a determinati livelli.
«Dipende sempre di quale piattaforma stiamo parlando, ad esempio, per me ce n’è una, estremamente famosa, che produce tantissimo e ritengo che soprattutto in Italia realizzi dei prodotti davvero scadenti. Ritengo, quindi, che adesso le cose siano legate a una questione di mode. Un Paese può produrre lavori di altissima qualità (visti da tutti noi) e un altro Paese, all’interno della stessa piattaforma, di bassa. Ora siamo in un periodo in cui vanno di moda le piattaforme, alcune di queste hanno dato vita a progetti molto interessanti da noi. Il ‘pregiudizio’ verso la Rai è connesso a un retaggio del passato, in cui ha proposto qualcosa in cui una fascia di pubblico non si è riconosciuta (si riferisce soprattutto ai giovanissimi, nda); poi, a un certo punto, le cose sono cambiate, basti pensare a “Mare Fuori” con cui ha conquistato una fascia d’età nuova. È essenziale andare a vedere la qualità del prodotto da più punti di vista. “Sopravvissuti” è stato un lavoro immenso per la Rai, già tenendo conto di questa gigantesca produzione Italia, Germania e Francia ed è sicuramente una bella sfida dal punto di vista sia della storia che della messa in scena in quanto è stato tecnicamente molto lungo e complesso farlo, in un connubio tra regista, attori e tutto il reparto tecnico, che è stato incredibile. Si sta sentendo il pregiudizio secondo cui questa serie sia la ‘brutta copia’ di “Lost” – in quest’ultimo vi era l’elemento fantascientifico; la nostra è una storia fatta di esseri umani. La difficoltà sta nel fatto che la gente debba aver voglia di fidarsi nel vedere qualcosa di nuovo, la stessa sceneggiatura non è scontata e, per certi versi, rischiosa in quanto affronta degli aspetti potenzialmente reali che possono risultare spinosi. La Rai ha uno zoccolo duro di spettatori e giustamente vuole guadagnare delle zone nuove e “Sopravvissuti” ha tutte le carte per farlo. Ci ha creduto profondamente e noi ci siamo sentiti tutti chiamati in causa nel ‘coccolare’ questo progetto. È vero che c’è Lino (Guanciale, nda), ma per lui siamo tutti uguali – questo è molto bello – e anche la produzione si è comportata così. Lino è una persona splendida e generosa ed è un attore… ora incarna ruoli importanti sia in tv che in teatro, ma ha cominciato sul palcoscenico, facendo la gavetta, è un grande lavoratore per cui sa cosa significa per i giovani e per chi ha delle parti secondarie quanto sia stato importante il loro apporto. Lo abbiamo fatto tutti insieme. Siamo venti personaggi e così facendo emergono attori nuovi o meno noti che si fanno conoscere dal pubblico e, di conseguenza, ampli la fetta».
D: Quali sono i tratti maggiormente peculiari del tuo personaggio?
«Marta è un’inconsapevole repressa perché credo che, inizialmente, non si renda conto di esserlo. È in una condizione di vita che sembra perfetta ed equilibrata, rappresenta l’idea classica della coppia come punto di partenza perché lei e Gabriele sono la coppia che arriva in barca. Tra gli altri c’è la coppia dell’attrice famosa, Giulia (Barbora Bobulova, nda), con Frank, ma il centro di quel nucleo è costituito da altro.
Marta entra come una donna non realizzata, che vive all’ombra del marito; scavando si scopre che c’è un ecosistema squilibrato, malsano e con un passato abbastanza complesso. A mio avviso è il personaggio con l’arco più ampio all’interno della serie [lo dice con gioia, orgoglio e la consapevolezza della fatica profusa nell’interpretarlo]. Ce lo siamo detti anche con Carmine: ciò che le accade la portano in un baratro sempre più verticale, va a spirale fino ad operare delle scelte, probabilmente qualche volta non lucidamente, ma con grande forza d’animo. Il naufragio è un fatto che scuote tutti, ha smussato il terreno come un terremoto per cui ci si deve riadattare obbligatoriamente per sopravvivere. Al rientro sono nel pieno di uno stress post-traumatico di difficilissima gestione. Marta tenterà di prendere delle decisioni di testa, ma verrà completamente pressata da Anita. Un’altra caratteristica che emerge col dipanarsi della storia è l’ambiguità, diventando una donna più complicata e ricca di sfaccettature. Gioca molto, specialmente con Anita con cui si verifica un infinito gioco gatto-topo».
D: In merito al lavoro con Pia Lanciotti, c’è qualcosa che vorresti dire?
«Pia è una delle attrici più incredibili che l’Italia abbia. L’ammiravo già quando ero al primo anno della Scuola del Piccolo Teatro, ho sempre sognato di essere anche solo una lenticchia brava quanto lei. È sempre stata di grande ispirazione, cercavo di non perdermi nulla dei suoi lavori per ‘rubare’ e capire. Quando ho lavorato con lei la prima volta per uno spettacolo di drammaturgia contemporanea è stato bellissimo e, quando ho visto che in “Sopravvissuti” la gran parte delle scene sarebbe stata con lei, da un lato avevo molta paura, dall’altro mi sentivo tanto sicura, sapevo che avrei lavorato con una persona di un livello talmente alto che dovevo essere io a stare al passo con lei. È stato un grande privilegio perché quando capita di stare a stretto contatto con un attore/un’attrice che stimi non puoi far altro che crescere».
D: Lino Guanciale ha reso l’idea di quanto sia stato impegnativo girare in barca e, parallelamente, utile ai fini del ‘crescendo’…
«Abbiamo girato cronologicamente la parte dentro la barca e questo è stato fondamentale per noi attori perché avere una continuità portava a una crescita naturale nel senso che la scena da girare in seguito era esattamente quello che sarebbe accaduto. In più serviva anche dal punto di vista tecnico in quanto la barca doveva rovinarsi man mano. È stato particolare anche perché nell’arco del naufragio ci sono delle perdite, magari non ci si sofferma, ma girare per un mese e a un tratto ti giri e non c’è più quell’attore o quell’attrice e dal giorno dopo non c’è più».
D: A proposito della centralità della bugia o, se vogliamo, della propria verità, mi ha colpita la recitazione con gli sguardi. Sono ‘segni’ che vengono colti forse più in teatro, qui la gestualità anche nel post-traumatico è molto utilizzata
«Deriva dal taglio registico che Carmine ha voluto dare. Lui e noi sapevamo benissimo che si trattava di una serie basata sullo sguardo, sul sottotesto perché quello che diciamo non corrisponde sempre alla verità di conseguenza si innescano degli accordi con alcuni piuttosto che con altri. I piani devono essere colti. Una volta rientrati, Luca/Guanciale è per me un punto di riferimento essenziale per cui lo scambio di sguardi già nella prima puntata implica anche dei sotto-testi».
D: Guanciale ha dichiarato in conferenza: «Abbiamo scoperto cose di noi stessi che non credevamo possibili». Cosa avresti voglia di condividere in tal senso?
«Ho scoperto che sono in grado di non dormire per quattro giorni di fila e non morire per questo. In particolare quando giravamo a casa di Marta, tutte concentrate in pochi giorni, Carmine è un regista molto esigente, voleva che tirassi fuori vari aspetti per cui non ho dormito per tre/quattro notti di seguito. Ho scoperto di avere inaspettatamente pazienza e tempra, ho molta resistenza sia fisica che psicologica ed emotiva (essendoci scene al freddo, sotto la pioggia). Sono sempre stata lucida e presente. Ho cercato anche di trovare un modo per proteggermi senza diventare aggressiva, ho un buon modo di stare sul set e sono stata contenta di rendermene conto – non avevo ancora fatto una serie così lunga».
D: Qual è lo spiraglio a cui si aggrappa Marta per riuscire a sopravvivere?
«Il suo spiraglio di speranza da un certo punto specifico corrisponde alla consapevolezza della possibilità di conquista di una nuova vita».
I prossimi progetti di Camilla Semino Favro
D: Dove ti vedremo?
«“L’ultima notte di amore” (dovrebbe uscire il 23 febbraio, nda) è stato un bel viaggio, ho un ruolo piccolo con una scena centrale abbastanza importante, girata con grande cura per diverse settimane e mi sono divertita perché mi è stata data l’opportunità di incarnare di un ruolo diverso da quello che solitamente mi affibbiano. Non posso dire molto di più, se non che interpreto una carabiniera per cui sono andata a sparare al poligono, abbiamo usato moltissimi prostetici. Andrea De Stefano è un regista con un occhio splendido, non lascia niente al caso e spero di poterlo reincontrare ancora.
Uscirà anche la seconda stagione di “A casa tutti bene” di Muccino a cui ho preso parte [si sente la contentezza]. Per quanto riguarda il teatro a febbraio (dal 23/02 al 19/03) debutto al Piccolo in “Anatomia di un suicidio” per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli (con cui ha realizzato anche “When the Rain Stops Falling”, nda) e Alessandro Ferroni, un testo di una giovanissima drammaturga inglese, Alice Birch».
Ph cover: Luca Carlino