“DÉJENEUR EN L’AIR” con Daniel Auteuil era senza dubbio uno degli spettacoli più attesi dell’edizione 2022 del Campania Teatro Festival ed è stata la giusta chiave per inaugurare (il 21 giugno) la sezione internazionale. Il titolo evoca immediatamente qualcosa di artistico e, nello specifico, di pittorico: come non pensare a “Le Déjeuner sur l’herbe” di Édouard Manet, dipinto tra il 1862 e il 1863 e forse non è un caso che, insieme al tronco principale di poesie di Paul-Jean Toulet, l’artista abbia deciso di regalarci versi di Rimbaud e Apollinaire, tracciando un filo con Manet.
Déjeneur en l’air – Daniel Auteuil
Mentre si riempie la platea e si attende che si abbassino le luci, si resta incantati dalla volta del Teatro Mercadante… è come se quell’attesa di un interprete che abbiamo imparato ad amare soprattutto sul grande schermo, venga alimentata e ‘coccolata’ da ciò che attornia il singolo spettatore. A un tratto, quasi ritrovandosi nelle luci calde dell’Ottocento (curate da Jacques Rouveyrollis), in un’atmosfera soffusa e magica (l’ouverture è affidata a Julien Noel al pianoforte), compare lui, Daniel Auteuil, elegante, disinvolto e, al contempo, (si percepisce) emozionato nel calcare un palcoscenico italiano e quelle tavole appena nominate. Cambia le carte in tavola immediatamente: canta i versi del componimento poetico di turno, facendosi trasportare dal ritmo interno, dalle controrime e dalle note musicali (come “Nuances d’amour” – Triste piano Musique Oasis). Di riflesso conduce anche noi in un’altra dimensione, coinvolgendoci pian piano in un viaggio in cui si toccano punte molto alte che, si alternano con il racconto di come tutto sia nato.
«Un giorno, due o tre anni fa, mentre cercavo una foto che avevo nascosto fin troppo bene», racconta Auteuil, «ho fatto cadere un libro. Mentre cadeva, il libro si è aperto sulla prima pagina. Ho riconosciuto immediatamente la calligrafia di mia madre:
“Per Dany, mio caro figlio (Dany c’est moi) ecco le meravigliose poesie di Paul-Jean Toulet da leggere quando sarai grande”.
Mamma, Avignone 1957» [ovviamente tutto detto in francese, sovratitolato, ma molto comprensibile, non solo per la semplicità del messaggio, ma anche per quanto tutto ciò lo avesse toccato]. A questo aggiunge che, mosso dalla forza delle emozioni, ha avvertito il bisogno di «comporre accordi per la chitarra» (collaborazione artistica di Gaëtan Roussel) e, nella sua stanza, gli è venuto spontaneo iniziare ad approcciarsi cantando, come se la melodia fosse insita nella parola e nella cadenza del verso.
In alcuni istanti, rassicurati nella poltroncina di velluto rosso, viene quasi spontaneo chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da quel mix semplice e magico, in cui ora il piano a coda compare in trasparenza ingrandito sul fondo e, in altri momenti, tocca al chitarrista: ‘duetti’ veri che fanno correre l’immaginazione verso ‘il tempo perduto’ e alla ricerca di un tempo da ‘ritrovare’ e concedersi.
Colpisce e coinvolge come l’attore feticcio di Patrice Leconte sembra ripercorrere estratti di vita, la finzione poetica sembra mescolarsi con l’esistenza e/o si mette a servizio per narrarla. Toccante, tra gli altri, il momento della storia d’amore così come il ricordo di ciò che lo lega al nostro Paese e al cinema italiano – nello specifico Mario Monicelli, che sceglie di omaggiare per il suo spirito libero con versi da lui composti.
Poi, come un viaggio che è volato, ma per cui si è ancora in ‘trance’, nessuno pensa al giudizio e si ritrova a cantare con lui il semplice motivetto «LA LA LA LA»… qualcosa che si impara alla prime lezioni di musica, qualcosa che viene in mente quando si è spensierati e che emoziona in un momento di condivisione così, guidati da un ‘direttore d’orchestra’ d’eccezione.
“Déjeuner en l’air” è stata un’occasione speciale per scoprire un poeta di inizio Novecento come Paul-Jean Toulet – poco conosciuto da noi – traghettati da un Virgilio d’eccezione, che, all’occorrenza dava spazio persino alla chitarra elettrica (Arman Mélies) e sconfinava non solo nei simbolisti più noti, ma anche nel Bardo.
Ph Cover: Salvatore Pastore – ag Cubo