“DIGITARE IL CODICE SEGRETO” è il primo di due nuovi film della collana ‘Purché finisca bene’ (prodotta da Pepito Produzioni e Rai Fiction), che ormai ci accompagna da anni, con l’intento di strapparci sorrisi – ancor più in periodi no – ma senza tralasciare argomenti importanti.
Digitare il codice segreto: trama
Il marchigiano Neri Marcoré gioca in casa con una storia ambientata a San Benedetto del Tronto e ci regala un personaggio indimenticabile: il Dottor Alberico Ferretti, un rinomato psicologo che predica bene ma razzola male – molto male! – visto che pur avendo scritto un libro su come vincere l’avarizia, è un tirchio. Alberico incontra Beatrice, interpretata da Valeria Bilello, madre single e ristoratrice di talento, che smuove qualcosa in lui e lo fa sentire pronto a cambiare, a dare e non solo a ricevere.
Digitare il codice segreto: cast
Marcoré è contornato da un cast spumeggiante di co-protagonisti costituito da Valeria Bilello, Gabriele Cirilli, Bernardo Casertano, Pia Lanciotti, Ruben Santiago Vecchi, Paola Minaccioni.
Digitare il codice segreto: le testimonianze del regista e degli attori
Nel corso della presentazione stampa abbiamo avuto modo di sottoporre degli interrogativi da cui sono emersi sia il bel clima respirato sul set che la profondità di riflessioni, suggerite anche dal tema.
D: Tenendo conto anche del tema trattato e richiamando una battuta di Beatrice/Valeria Bilello: «un vizio difficilmente risolverà con qualche consiglio di buon senso»; effettivamente non è mai semplice affrontare l’analisi perciò volevo chiedere sia al cast che al regista che tipo di approccio hanno avuto. Quali domande vi siete posti rispetto ai propri personaggi? Vi hanno fatto scoprire qualcosa di voi stessi?…
FABRIZIO COSTA: «Mi spiace che non ci sia ancora Neri che questo vizio se lo porta sulle spalle, però, in realtà, l’approccio è stato abbastanza coerente anche con quello che la letteratura psicologica dice nei confronti dei delle persone afflitte da questa sindrome dell’ avarizia. Anche tutti coloro che interagivano col personaggio di Neri, in qualche modo, scoprivano delle parti di se stessi che riflettevano poi la psicologia di Ferretti. È una commedia abbastanza classica, credo risolta in maniera non superficiale».
PAOLA MINACCIONI: «Mi sono appassionata alla mia Sueli Tempesta un po’ complicato e arzigogolato che ha scritto lo sceneggiatore insieme anche al regista. È una donna molto sola, di estrazione sociale agiata e si rifugia in questi libri di psicologia del prof. Ferretti – molte persone oggi cercano la soluzione in un libro. La verità è che lei riuscirà poi sia a migliorare se stessa e a migliorare anche lo stesso dottore ricordandogli a voce alta ciò che lui ha scritto, semplicemente perché lei, in quel momento, gli dà fiducia e a se stessa. Secondo me la differenza la fa poi la possibilità che noi ci diamo di avere fiducia. Non penso che esista una soluzione magica, bisogna continuare a provare e avere fiducia».
VALERIA BILELLO: «Mi riallaccio a quello che sta affermando Paola perché la prima cosa che mi è venuta in mente quando si ricordava la battuta del film che è vero ciò che si sostiene in quella frase; però è anche vero che, da un punto di vista psicoanalitico, riconoscere il problema è il primo passo, ma poi ci deve essere l’ulteriore passaggio: capire cosa si sia disposti a barattare per cambiare un pezzo di se stessi. Dal film emerge la voglia di diventare altro da sé o anche solo il desiderio di migliorarsi – è quello che succede poi ad Alberico».
PIA LANCIOTTI: «Condivido pienamente quello che dice Valeria… alla fine l’unico modo per guarire tutte queste ombre è annettere della luce. Anche la contessa Vanini sicuramente ha provato sensazioni simili; ora lei vive sulle bollicine di champagne, forse lei ha già illuminato tutte quelle ombre lì per cui quello che ama sono le risate e il buonumore, trasmessole anche da Guido (G. Cirilli, nda)».
GABRIELE CIRILLI: «Faccio anche i miei complimenti a Fabrizio perché, in questa commedia, vengono trattati tanti temi importanti… Non c’è solo l’avarizia, ma anche la ludopatia e Fabrizio è stato bravo anche perché, ogni volta che andavamo sul set, lui ricontrollava più volte la scrittura, la rimaneggiava. Quando si manda un film in tv si trasmettono dei messaggi perciò bisogna avere cura di questo aspetto».
D: «L’avaro si avvantaggia di tutto ciò che gli offre senza mai restituire nulla in cambio», afferma il dott. Ferretti/Neri Marcoré. Allargando alla vostra condizione e al momento che stiamo vivendo, quanto vi sentite generosi nell’essere artisti e che cosa pensate che si possa fare concretamente tenendo conto del blocco da parte delle istituzioni ancora sulla capienza di sale teatrali, cinematografiche e musicali?
NERI MARCORÉ: «Forse possiamo anche cominciare a dimenticarci della retorica legata al covid, nel senso che non vedo l’ora di farne a meno e di prescindere da tutti gli spettacoli in cui si dice: ah che bello siamo nuovamente qui. Ti ghermisce la coda di questo virus, però se non cominciamo a dire che l’abbiamo superato, forse non lo supereremo mai. Fermo restando che molte riaperture ci sono state, ne abbiamo goduto come spettatori e come artisti, penso che adesso sia già un bel passo avanti arrivare all’80% della capienza nei teatri (nel frattempo, rispetto a quando si è svolto l’incontro stampa, per fortuna il governo ha allargato la capienza di teatri e cinema al 100%, nda). Ritengo che non ci siano più i presupposti se pensiamo anche solo ai mezzi pubblici e in tanti altri contesti: lì dove non si può controllare sembra che non ci siano più regole, dove si vuole controllare magari sono troppo restrittive… Spero che a partire da questa stagione entrante si possa tornare alla capienza totale.
Gli artisti, lo dico a nome della categoria, hanno dimostrato, soprattutto nel lockdown, quanto ci sia bisogno di comunicazione, di donarsi. Pur non potendoci esibire nei luoghi deputati agli spettacoli, tutti noi ci siamo collegati attraverso piattaforme, dando vita a reading, spettacoli, intrattenimento dialoghi e conversazioni, che potessero sia soddisfare il nostro desiderio di stare in contatto con gli altri e sia venire incontro alle molte persone che, non potendo uscire da casa, avevano bisogno di sentirsi parte di una comunità. Questo è il ruolo che svolgono l’arte e gli artisti: unire, amalgamare, creare riflessioni e dubbi… è sempre il pensiero unico che fa paura e noi abbiamo questo compito che ci siamo scelti che in primis mette in discussione noi. La generosità e l’essere artista sono sinonimi».
L’appuntamento è alle h 21.25 del 12 ottobre, in prima visione, su Rai1 e, subito dopo, su RaiPlay.