Potersi emozionare tramite le creazioni di DOMENICO ASMONE è stato un vero e proprio dono, oltre che una scoperta, resa ulteriormente piacevole dal dialogo di approfondimento che ci ha concesso. Ancor più oggi, dobbiamo (ri)educare lo sguardo, in particolare di fronte all’arte contemporanea e quella praticata dall’artista pistoiese ha un impatto forte.
In esposizione presso la Fondazione Luciana Matalon (circa 20 opere), in collaborazione con la Galleria Colonna di Appiano Gentile (CO), si ha letteralmente la possibilità di cogliere da vicino le pennellate e soffermarsi senza ‘impedimenti’ visto l’allestimento curato (con la corretta illuminazione, senza vetri protettivi che creano riflessi) e pensato secondo criteri ben precisi (li potrete scoprire nell’approfondimento con l’artista). Spiccano, forse volutamente o, seguendo le nostre emozioni, alcuni altorilievi in ceramica smaltata. Proprio questi ultimi – senza nulla togliere ai dipinti ad olio su tela e carta e alle sculture in ceramica – hanno catturato il nostro sguardo (merito anche della tridimensionalità), suscitando diverse emozioni, anche di pancia.
Tra i lavori in mostra ci piace sottolineare la presenza di “Madre Terra naturale” e “Madreterra artificiale”, dietro cui («senza pretese», specifica l’artista) risiede un messaggio ambientalista.
Domenico Asmone: l’intervista
D: Quale valore ha per lei esporre a Milano?
«È una soddisfazione esporre a Milano e presso la Fondazione Luciana Matalon. Si tratta sempre di un punto importante della carriera di un artista; Milano rimane sempre, forse, la piazza più prestigiosa che c’è in Italia dal punto di vista dell’arte, in quanto maggiormente disponibile, aperta e pronta ad accogliere le espressioni nuove che ci possono essere nel panorama artistico. Non lo vivo come un traguardo finale, ma come una tappa del percorso artistico e sicuramente ci saranno ulteriori sviluppi».
D: Dal punto di vista della ricezione lei ha un immaginario o delle aspettative su cosa vorrebbe che assolutamente venisse colto delle opere in esposizione?
«È quello di esprimere le emozioni attraverso il colore e come sento io di provare l’emozione mentre creo, mi auguro che chi osserva in seguito possa provare qualcosa, non ‘pretendo’ la medesima emozione anche perché ognuno ha il proprio vissuto. Se l’opera riesce a trasmettere una sensazione, un’attrazione. una sensibilità particolare secondo me si chiude il cerchio. Nei miei lavori ci vuole la mediazione della propria capacità di emozionarsi, che è stimolata dalle cromie messe sulla tela o sulla scultura di ceramica. Da tanti anni studio come viene percepito il colore in base anche agli accostamenti, tono su tono, i chiari e gli scuri, i complementari: è proprio dall’insieme dei colori che si trasmette una determinata percezione. Questo è ciò che ci terrei che avvenisse. Secondo me l’ideale sarebbe entrare proprio in sintonia, guardando l’opera, con l’artista e avere questa possibilità di emozionarsi proprio come l’artista si è emozionato durante l’esecuzione; però non è sufficiente per me catturare lo sguardo dell’osservatore. È necessario che ci sia un coinvolgimento sensoriale, che può avvenire a seconda di tre parametri fondamentali: l’effetto tipo cromatico (quello che immediato), il rigore stilistico perché anche se è prevista una libertà gestuale, non sono del tutto improvvisate, c’è una stesura mentale che pone dei confini. Il terzo fattore consiste nell’equilibrio compositivo – ancor più essenziale non rappresentando qualcosa di riconoscibile, è necessario che la stesura sia equilibrata».
D: Qual è stato il criterio di scelta per le opere da portare a Milano?
«Sono quelle più recenti degli ultimi tre-quattro anni. In più ci tenevo che ci fosse una corrispondenza di colori tra dipinti e scultura: può nascere prima quest’ultima o viceversa, non c’è una regola fissa, spesso ripeto le stesse emozioni ‘cromatiche’ di un dipinto su una scultura o viceversa proprio perché mi piace che, in una eventuale successiva esposizione, ci sia un dialogo».
D: Quanto la situazione che abbiamo vissuto come uno ‘tsunami’ e che ci si augura si avvii verso la conclusione, ha influenzato lo studio sul colore e di conseguenza la sua espressività?
«Siamo figli dell’epoca che viviamo perciò non possiamo essere al di fuori di quello che ci accade giorno per giorno. Il periodo di pandemia, chiusura, limitazioni ha influenzato la mia espressione artistica… devo ammettere che lo ha fatto anche in senso positivo perché, ad esempio, ho avuto molto più tempo per studiare e approfondire la ricerca sul colore, studiare la storia dell’arte passata in quanto non si può cercare di individuare una propria strada e creatività personale senza conoscere ciò che è avvenuto in precedenza. Nello stesso tempo, dai periodi meno felici, c’è sempre una spinta ancora maggiore alla creazione».
D: A proposito di “Rinascita”, qual è l’emozione istintivamente che ha provato nel comporla?
«Soprattutto per la ceramica è vedere l’opera che nasce e rinasce da magari un materiale diverso. Per quanto riguarda la ceramica il colore lo si vede solo nell’ultimo stadio, dopo la seconda cottura – e il colore, in questo caso, è fondamentale quasi se non di più della forma. Mentre applico lo smalto nella fase intermedia della lavorazione, il colore non lo vedo perché lo smalto di ceramica ha un aspetto gessoso, biancastro, non è colorato e luminoso come nell’opera finita. Quando mi trovo ad aprire il forno dopo la seconda cottura, a volte anche la terza, quindi ad opera finita assisto alla sua rinascita.
L’ho intitolata così perché mi ha trasmesso quell’emozione, compresa quella di vedere la luce in fondo al tunnel».
Ph cover: Andrea Pecchioli
Riassumendo
Domenico Asmone: “Il colore mi possiede” presso la Fondazione Luciana Matalon
DATE E ORARI: dal 3 al 17 febbraio 2022, da martedì a sabato h 10-13 e 14-19
INGRESSO: libero