“EVERYWOMAN” di Milo Rau, dopo aver debuttato al Festival di Salisburgo – coproduttore dello spettacolo – il 19 agosto 2020 ed essere andato in scena alla Schaubühne di Berlino il 15 ottobre 2020, arriva per tre giorni (dal 14 al 16 ottobre 2021) in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano in prima italiana assoluta.
«Dopo “The Repetition. Histoire(s) du théâtre (I)”, allo Strehler nel 2019, il regista torna al Piccolo con un nuovo spettacolo nato da una ricerca condotta insieme all’attrice Ursina Lardi e destinato a suscitare profondi interrogativi nello spettatore: cosa resta, che cosa ha davvero valore, al termine delle nostre vite?» (dalla nota ufficiale).
Everywoman di Milo Rau: sinossi
Un’attrice di successo (in scena, Ursina Lardi) incontra una donna (in video, Helga Bedau) cui è stata diagnosticata una malattia incurabile e che coltiva, come ultimo desiderio prima di morire, quello di recitare, un’ultima volta, in un testo teatrale.
A partire dalla commedia morale allegorica di Hugo von Hofmannsthal Jedermann (“Ognuno”), ispirata ai morality play del XV secolo, esaltazione di uno stile di vita retto e di un percorso di redenzione che passa attraverso la fede, lo spettacolo è un’intima conversazione sul passato e sul futuro, sulla vita, la morte, la solitudine e la comunità.
Dopo “Mitleid. Die Geschichte des Maschinengewehrs” (Compassion. La storia della mitragliatrice), per il quale i due artisti hanno viaggiato insieme in Congo, e dopo la produzione “Lenin”, in cui, a partire dalle due ultime settimane della vita del rivoluzionario russo, hanno condotto un’intensa disamina delle utopie del XX secolo, Milo Rau e Ursina Lardi hanno intrapreso una ricerca filosofica ed esistenziale per “Everywoman”.
Cos’è la morte? Perché dobbiamo affrontare quest’ultima prova da soli? Perché «non c’è nulla di nuovo da dire sulla morte» come viene detto nel testo? E infine: quale potrebbe essere la risposta umana e artistica allo scandalo della nostra comune mortalità?
Il testo dei suoi spettacoli nasce sempre da conversazioni reali, dalla vita. Nel caso di “Everywoman”, la vita è quella di Helga Bedau.
Everywoman: conferenza stampa
CLAUDIO LONGHI, direttore artistico del Piccolo Teatro: «Questa è un’occasione per riflettere sul tema dell’esistenza a partire dalla sua fine. Speriamo di avviare con Rau e la stessa Ursina Lardi un progetto europeo di collaborazione».
MILO RAU: «Esistono due ragioni per cui ho deciso di realizzare questo progetto: la prima è connessa a una chiamata dal Festival di Salisburgo che, in occasione del suo centesimo anniversario, mi aveva proposto di mettere in scena, come avviene ogni anno, Jedermann e io ho risposto che non ne avevo alcun interesse; ma piuttosto volevo creare una nuova versione che vede il confronto tra un uomo qualsiasi di fronte alla morte.
Nel testo di Hofmannsthal Jedermann la questione della morte è principalmente affrontata in chiave allegorica, laddove Hofmannsthal sfugge attraverso lo strumento della fede. Probabilmente il suo è un tentativo per dare una risposta all’idea di ricostruire l’Europa dopo la ferita della Prima Guerra Mondiale. Davanti a questa assenza, nel momento in cui ho deciso di dar vita a questa nuova versione, ho cercato di costruire veramente un dialogo intimo con la morte. Ursina si trova a confrontarsi con una donna di Berlino malata terminale, presente in video, e con la quale Ursina intavola un confronto che vuole essere il più possibile diretto.
Noi possiamo trovare il tema nella morte in qualsiasi opera letteraria, ma non ci vediamo mai niente di nuovo, ci dobbiamo chiedere che cosa effettivamente possiamo dire rispetto a questo tasto universale ed è strano perché l’argomento, di fondo, ci riguarda tutti quanti. Siamo la specie che, in qualche modo, è in grado di accettare l’oggettiva realtà, ma quello che mi interessa valutare è il rapporto con la nostra impossibilità di confrontarci, nel momento della nostra solitudine, col tema della morte. Questo tipo di difficoltà è quello che mi preme indagare e come sia possibile un momento di solidarietà in quello che paradossalmente è il momento in assoluto più solipsistico delle nostre esistenze».
Q&A tra i giornalisti e Milo Rau
D: Di fronte a questo tema vertiginoso – difficile da affrontare anche per noi – volevo chiedere a Milo Rau com’è stato il dialogo fra la sua attrice e questa donna berlinese – che ha fatto da tramite e da testimone – e lui stesso. Inoltre vorrei sapere quali sono state le prime fasi del progetto di quello che poi vedremo sul palcoscenico…
«Il mio rapporto con Ursina è continuo e costante e si sviluppa attraverso molte forme: può accadere quando effettuiamo una ricerca insieme o ci troviamo a parlare o ancora il momento in cui mettiamo in scena un testo e creiamo qualcosa per il palco. Nello specifico di “Everywoman” tutto è iniziato quando mi trovavo in Brasile, con lei, all’inizio del 2020 per lavorare sul progetto “Antigone in Amazzonia”. Parallelamente ci siamo messi su una prima versione di “Everywoman”, della quale sono rimasti alcuni frammenti. Poi è scoppiata la pandemia, dal Brasile siamo tornati in Europa e, a maggio, quando si trattava di rimettersi a lavorare su questo testo, abbiamo visto che in qualche modo c’era qualcosa che doveva cambiare: doveva essere forse meno politico di com’era venuto inizialmente e più vicino a quello che Roland Barthes chiama il ‘grado zero della letteratura del reale’. Così è nata l’idea di stabilire un dialogo con qualcuno che si trovasse davvero in procinto di morire. In quell’occasione Ursina si è ricordata di una lettera che aveva ricevuto da una donna in condizioni gravi, decidendo così di contattarla per iniziare a coinvolgerla all’interno del progetto. A Helga, a maggio, le era stato diagnosticato che potesse ancora vivere uno o due mesi; invece è riuscita a vedere sia la prima rappresentazione al Festival di Salisburgo ad agosto che la prima recita alla Schaubühne di Berlino, poi è morta solo recentemente. È come se questo progetto le avesse dato, a dispetto delle diagnosi mediche, anche un’ulteriore ragione di vita. Il dialogo è stato estremamente semplice perché, un intero anno di ricerca, si è condensato in pochi giorni molto efficaci. Posso dire che ci sono due livelli: uno è quello prettamente filosofico-olistico e l’altro è costituito dal dialogo con Helga».
D: In scena ci sono due donne, è chiaramente un dialogo al femminile però mi chiedevo se, nella scelta di questo titolo, appunto “Everywoman” ci fosse anche un ulteriore aspetto che riguarda la condizione femminile. È presente una connotazione di genere?
«Osservando la commedia di Hofmannsthal Jedermann, che significa qualsiasi uomo, ci rendiamo conto che il protagonista non è un uomo qualsiasi, ma estremamente ricco e potente. Il senso è abbastanza ovvio da cogliere e cioè come la morte cancelli ogni tipo di differenza sociale quando sopraggiunge. Ci siamo chiesti chi potesse essere in grado di rappresentare un uomo qualunque, un uomo come noi che siamo qui presenti, senza la caratteristica della ricchezza… così facendo quel qualcuno si sarebbe chiesto che cosa significasse essere di fronte alla morte.
Per quanto riguarda il rapporto con Ursina partiamo dal presupposto che lei è la mia attrice preferita ed è una donna, è successo. Se si pensa alla biografia di Helga, si possono rintracciare degli elementi più specifici della condizione femminile: ha avuto una vita dove si è dovuta fare da sé, ha avuto un uomo proveniente dalla Grecia, a un certo punto si sono dovuti separare e ha dovuto lasciare suo figlio quando aveva pochi anni ed è una donna che ha anche preso parte, negli anni Settanta, a lotte di rivendicazione dall’emancipazione della condizione femminile.
Per Ursina questo è uno dei tanti aspetti in quanto la morte contiene, tra le sue caratteristiche, quella di azzerare le differenze di identità».
D: Ha citato Barthes, in che senso si confrontano con l’aspetto morale della scrittura e quanto il testo diventasse politico?
«Parallelamente alle prove di “Everywoman” stavo montando “ll Nuovo Vangelo”, un film su una rivolta politica. Operando un po’ un bilancio di quello che è il mio approccio al lavoro, cerco sempre di alternare opere più personali con altre azioni che, invece, sono più legate a uno spirito più globale e la morale, a seconda di quale delle due azioni vado a compiere, è leggermente differente e, in qualche maniera, complementare. Per esempio, quando rifletto sul Nuovo Vangelo la morale consisteva nello stabilire una solidarietà che cercasse di superare le differenze per mettere insieme individui e identità differenti per unirle per un atto di solidarietà comune, per un obiettivo. Nel momento in cui vado a realizzare delle opere che sono più personali, è come se la morale andasse trovata proprio nella ricerca delle piccole differenze, facendo una citazione di Pierre Bordieu: è come cercare di trovare un universale nello sguardo estremamente ravvicinato. Questi due approcci sono complementari.
Nella micro-sociologia che corrisponde a raccontare una vita, mi devo sempre chiedere che cosa scelgo di raccontare: per esempio anche in “Grief and Beauty” – il mio spettacolo che ha debuttato proprio poche settimane fa – mi sono domandato quali fossero gli elementi da scegliere per raccontare la storia delle persone coinvolte. Questo determina molto la natura e l’identità dell’opera.
Quando alla prima a Salisburgo è venuto il figlio di Helga a vedere lo spettacolo, gli ho chiesto che cosa avesse provato e mi ha risposto: è come se fosse una tortura multistrato poiché ho visto da una parte mia madre morire, poi parlare della nostra relazione e di quello che ci è successo quindi qualcosa che lo andasse a colpire in diverse azioni.
In più credo che parte del mio lavoro consista nel giocare molto con le distorsioni che si vengono a creare nel momento in cui, ad esempio, Helga sceglie delle parti della propria vita e quindi un proprio punto di vista per raccontarsi e allo stesso tempo, io come artista, a partire da uno spaccato estremamente particolare, cerco di far emergere una storia universale.
D: Quali temi attraversano il dialogo tra le due donne e come mai è stata scelta Helga?
Ursina è un’attrice conosciuta in tutto il mondo di lingua tedesca e riceveva diverse lettere presso la portineria del teatro. Quella di Helga si caratterizzava per un fatto fondamentale: raccontava di come le mancasse – eravamo durante il primo locktown – la sensazione di stare in teatro assieme agli altri, quel senso di comunità ancor più essendo in procinto di morire. Abbiamo capito che quello fosse uno degli elementi portanti da narrare. Ci siamo interrogati sostanzialmente su come potessimo mettere insieme la solitudine oggettiva nostra rispetto alla morte con la solidarietà, che fa parte per me dell’idea dell’arte quindi un lavoro di comunità che si mette a confronto con l’idea della solitudine perciò abbiamo pensato che lavorare su questa dialettica tra solitudine e comunità fosse un rituale per riflettere sull’idea della morte.
Helga negli anni Settanta ha interpretato un personaggio muto all’interno di “Romeo e Giulietta” proprio alla Schaubühne. Secondo me il tema portante di “Everywoman”, è una dialettica tra l’idea di comunità-solidarietà con l’idea di solitudine. Il rapporto con gli altri è al cuore della mia operazione artistica.
Riassumendo
“Everywoman” presso il Teatro Strehler
DURATA: 80’
DATE E ORARI: giovedì e sabato h 19:30; venerdì h 20:30
PREZZI: platea 40€; balconata 32€