Il 2023 è stato un anno splendido per FABRIZIO GIFUNI. Durante il discorso ai David di Donatello ha ringraziato «la sua lentezza, la sua fragilità, ringrazio il gioco, la fantasia, l’immaginazione, che sono il grande antidoto a questi tempi così aggressivi e molto decadenti. Ringrazio Giuseppe Bertolucci, Antonio Capuano, Davide Manuli e Claudio Caligari, che mi hanno insegnato sul campo il valore dell’indipendenza e della libertà creativa svincolata dalle logiche del profitto. Ringrazio una classe formidabile di compagni e compagne con cui trent’anni fa siamo usciti pieni di speranze da una classe d’accademia, pieni di tanti sogni, uno più bravo dell’altro (riferendosi ai compagni di classe all’Accademia Silvio D’Amico come Alessio Boni, Pierfrancesco Favino, Luigi Lo Cascio, col maestro Orazio Costa Giovangigli, nda)». Cinquantasette anni compiuti da poco, si mette completamente a servizio dei ruoli che incarna. Potrebbe fare ‘solo’ l’interprete, ma non gli basta perché gli interessa battersi per i diritti dei lavoratori dello spettacolo (è tra i fondatori di U.N.I.T.A.) e ha a cuore le sue origini pugliesi per cui ha deciso di essere direttore artistico insieme a Natalia Di Iorio di PrimaVera al Garibaldi a Lucera, una stagione che prosegue anche d’estate, in collaborazione con il Comune di Lucera e il Teatro Pubblico Pugliese.
D: Cosa pensa di aver seminato fino ad ora?
«PrimaVera al Garibaldi ha sette anni di vita. È un percorso iniziato nel 2017 insieme a Natalia Di Iorio con l’intento di restituire un’identità a due luoghi meravigliosi, ricchi di storia di Lucera, che sono il teatro Garibaldi e l’anfiteatro Augusteo. Quando abbiamo iniziato nel 2017 siamo partiti solo dal teatro Garibaldi perché l’Anfiteatro Augusteo allora era visitabile come bene archeologico facente capo alla Soprintendenza dei Beni Culturali. Quando è iniziata la pandemia, uno dei pochissimi effetti positivi di quella tragedia è stata la possibilità di riconsegnare l’anfiteatro alla sua funzione originaria essendo uno dei pochi luoghi in cui si poteva fare spettacolo all’aperto e con il distanziamento. Finita l’emergenza stretta, grazie alla preziosa collaborazione con la Soprintendenza, siamo riusciti a tenerlo aperto. Negli ultimi due anni la stagione si è dunque articolata in due parti: una prima al chiuso e una seconda all’aperto all’interno del festival Estate|Muse|Stelle».

D: Qual è stata la reazione?
«Credo sia stato un lavoro lento, portato avanti gradualmente, ma con grande passione e determinazione. La città ha risposto magnificamente, non vedeva l’ora di tornare a riabitare quei luoghi a cui storicamente sono stati destinati, che sembrerebbe banale, ma in realtà non lo era. Ad esempio il Teatro Garibaldi, edificato nella prima metà dell’Ottocento, ha avuto una vita bellissima, ospitando grandi artisti come Scarpetta, Salvini e Maieroni o attori che avevano recitato con la Duse e cantanti lirici di grande fama nazionale. Abbandonato durante le due guerre mondiali, negli Anni ’40 era stato occupato prima dai nazisti e poi dagli americani ed è rimasto chiuso nei successivi sessant’anni fino al tardivo completamento dei lavori di ristrutturazione.
Quando è stato riaperto nei primi anni duemila era come se non si sapesse bene quale direzione dargli, c’era una specie di disabitudine. In questi sette anni si sono avvicendati una cinquantina di spettacoli, più di un centinaio di artisti – il meglio del panorama teatrale e musicale nazionale e internazionale, esempio ne è l’apertura di quest’anno con il concerto della grande Ute Lemper. Sono felice. È un percorso a cui continuo a dedicarmi con grande passione».

D: Cosa la spinge?
«Due ragioni che si intrecciano: quella affettiva perché una parte della mia famiglia viene da questa città, a cui sono legato da 320 di storia familiare che non si è mai interrotta. C’è anche una linea di continuità con mio nonno, che è stato per tanti anni il direttore della biblioteca e del museo civico. Negli anni del Dopoguerra fino agli Anni ’70, come succedeva spesso nei piccoli centri italiani, era diventato un punto di riferimento. Gli scrittori, i poeti, i filosofi, sapevano che a Lucera, nella Puglia del Nord c’era mio nonno. Nella casa che continuiamo ad abitare quando veniamo ci sono stati Benedetto Croce, Ungaretti, tutto il meridionalismo italiano. Per motivi legati al suo lavoro e per passione, anche all’epoca – nel suo caso più letterati – scoprivano Lucera perché il ‘punto di attrazione’ era mio nonno, con l’occasione scoprivano il castello, la fortezza, la piazza della cattedrale che Massimo Troisi scelse come set unico per “Le vie del signore sono finite”».

D: E la seconda ragione?
«Lucera vive geograficamente all’interno di un territorio bellissimo, importante, ma che negli ultimi decenni è stato progressivamente abbandonato e le conseguenze si sono viste anche in termini di fenomeni criminali. Foggia è ancora commissariata perché sciolta da infiltrazioni mafiose. Più si accendono le luci sui teatri, sui cinema, sulle biblioteche e sui luoghi d’incontro, più si toglie acqua stagnante che va a formare della paludi e quando si dà il tempo alle paludi di formarsi poi arrivano i coccodrilli. So che il teatro non può risolvere problemi endemici, però, sono convinto da sempre che possa svolgere una funzione essenziale, non è solo l’evento spettacolo, ma serve un lavoro di continuità che porta una sinergia di forze. La rassegna all’Anfiteatro, infatti, oltre che da Regione Puglia, Comune di Lucera e TPP, è realizzata con il sostegno di Fondazione Monti Uniti e si avvale delle preziose collaborazioni dell’Accademia delle Belle Arti di Foggia, del Conservatorio di Musica Umberto Giordano e del FAI Puglia.
Continuerò a farlo finché mi durano le forze. Ad oggi è il massimo che siamo riusciti a fare e mi sembra già tantissimo».
D: Qual è l’impatto che hanno gli artisti quando vengono?
«Si è creata una forma di felice contagio. Ciò che ogni volta mi emoziona è che il pubblico di Lucera scopre spesso attrici, attori, musicisti che non aveva mai visto, molto noti nei teatri nazionali, ma non in provincia, come nei casi di Maria Paiato, Lino Musella o Marco Baliani. Allo stesso tempo gli artisti conoscono Lucera in cui molto spesso non erano mai stati. L’anno scorso in questa serata memorabile con Toni Servillo, lui mi disse: “incredibile che non abbia mai visto quest’anfiteatro romano”, che è uno degli anfiteatri più belli di tutto il Meridione d’Italia».
I PROSSIMI EVENTI
D: Gifuni come proseguirà la seconda parte della stagione di PrimaVera al Garibaldi 2023?
«All’insegna della qualità e della varietà il cartellone prevede quattro appuntamenti: il fascino magnetico di Ute Lemper, Peppe Servillo & Solis String Quartet con il loro omaggio a Renato Carosone. Vanessa Scalera con i “Sillabari” di Parise e la chiusura affidata a uno dei grandi maestri del teatro di narrazione Marco Paolini con “Antenati – The grave party”, i cui temi di fondo, mai così attuali, sono l’evoluzione e l’ecologia, trattati in chiave epico comica».

D: Quella di Vanessa Scalera è una prima assoluta?
«Vanessa (fattasi notare e amare dal grande pubblico per la serie “Imma Tataranni”, nda) è stata felicissima dell’invito e abbiamo cercato insieme una cosa giusta per l’occasione: i “Sillabari” di Parise, un libro straordinario, un grande abbecedario dei sentimenti e delle passioni. Credo che un ulteriore valore aggiunto, all’interno del percorso fatto in questi sette anni, sia quello di aver dato la possibilità ad alcuni artisti di sperimentare studi teatrali, che vedevano la luce, come nel caso di Vanessa, o che proseguivano i loro primi passi, come nel caso dei lavori di Lino Musella su Pasolini, Teresa Saponangelo e Gabriele Parrillo su Čechov, andati in scena questa primavera».

D: Mettendosi nei panni dei lettori, potenziali spettatori, perché dovrebbero scegliere di fare tappa a Lucera nei giorni della rassegna, rispetto a una località di mare che propone anche spettacoli?
«L’intenzione primaria è far sì che sia una grande opportunità di scoperta del territorio e degli artisti. Si mettono in moto un turismo, delle attività commerciali – alcune importanti aziende vinicole hanno scelto di sostenerci sin dall’inizio – è un’occasione importante di crescita per la città e lo dimostra anche la bella notizia della candidatura di Lucera, unica città della Puglia, a Capitale della Cultura per il 2026.
Da qualche parte il lavoro che abbiamo fatto non è stato indifferente anche da questo punto di vista perché molte persone hanno avuto modo di conoscere Lucera grazie agli spettacoli, venendo anche da fuori».
Ph cover: Valeria Maria Pio