FARIDA KANT è riuscita a superare diverse prove (anche con se stessa) ed è arrivata alla finale della prima edizione di “Drag Race Italia”, prevista domenica 13 febbraio in prima serata su Real Time (già disponibile su discovery +). Oltre a lei, sono rimaste in gara Elecktra Bionic, Le Riche e Luquisha Lubamba, solo una tra loro sarà la vincitrice della prima edizione italiana del talent fenomeno di costume internazionale creato dalla star statunitense RuPaul.
La Kant ha colpito sin da subito per la capacità di saper fare da sé (a partire dall’ideazione e creazione di un costume), oltre che per qualità come ricercatezza, raffinatezza e determinazione. «La magia, la bellezza, l’eccentricità che non appartiene alla vita terrena. Un sogno: la vedi e ti ritrovi in un altro mondo, come andare nel paese delle meraviglie». Si è mostrata come colei che non aveva paura di nulla, ma noi che abbiamo avuto modo di dialogare, abbiamo potuto toccare con mano la sua sensibilità e cosa ci sia dietro nel profondo. Dietro questo suo modo di essere artista c’è Riccardo Occhilupo, classe ’87, che tanto ha dovuto faticare e ‘ingoiare’ per inseguire i propri sogni.
D: Cos’ha colto vedendosi dall’esterno?
«A volte non mi sono piaciuto, ho notato quanto fossi puntiglioso e davanti alle telecamere un po’ troppo ‘crudele’ perciò tramite questo programma ho compreso degli aspetti di me da sistemare. Mi rendo conto che agli occhi altrui posso aver trasmesso anche tanta rabbia – cosa che effettivamente c’è e con cui devo fare i conti».
D: In questo periodo di pandemia sembra che la gente si sia chiusa o incattivita…
«Molto spesso pensiamo che verremo compresi o che siano gli altri a non capire le nostre parole; invece no, il ‘problema’ nasce da noi. Purtroppo è difficile, finché non ti poni lucidamente ad analizzare i fatti, non si riesce sempre a fare un ‘esame di coscienza’».
D: Come nasce il suo percorso?
«Ho avuto un’infanzia combattuta – di cui mi porto degli strascichi ancora adesso. Non è stato semplice sin dall’inizio coi miei genitori, anche se mia madre è stata un po’ più accondiscendente; ma sul momento ha reagito duramente nonostante il bellissimo rapporto che ci lega. Papà mi ha fatto provare tutti i tipi di sport per scacciare quasi il desiderio di danzare. È stata tosta affrontare tutto questo a nove anni. Provengo da una famiglia molto umile, quindi magari non era ‘educata’ a un mondo artistico e creativo; nelle loro prospettive avrei dovuto fare l’architetto o il geometra. Sono molto fiero della mia determinazione che mi ha portato a fare danza e, successivamente, ad ulteriori conquiste in questo ambito. Provengo da un piccolo paese tra Gallipoli e Leuca, Acquarica del Capo, e devo dire che finché non sono entrato nella scuola di “Amici” l’atteggiamento non mutava né da parte della mia famiglia né dei cittadini – coi loro pregiudizi e alcuni appellativi verso la mia identità. L’essere entrato nella scuola televisiva ha trasformato i commenti dei compaesani e ammetto che questo cambiamento – in parte frutto di schemi – mi ha fatto ancora più allontanare dalle mie origini. Da bambino ho sempre ricevuto del bullismo dai miei coetanei e non solo e questa sofferenza la porto ancora con me [la voce si fa rotta durante il suo aprirsi per cui ringraziamo, viste certe ferite dolorose ancora di rimarginare]».
D: Cos’è accaduto dopo?
«La mia fortuna è stata andar via di casa a diciotto anni, impegnandomi nel vivere la mia vita. Ho cominciato a fare la drag queen a Roma, nel 2013 e per anni non ne ho parlato coi miei; poi ho deciso di dirlo a mia madre, che vorrei fosse partecipe di tutto ciò che vivo, comprese le emozioni. Piano piano le ho rivelato della mia omosessualità; per quanto riguarda l’essere drag l’ho educata piano piano mostrandole prima altre e poi delle mie foto in esibizioni. Col tempo ha iniziato a sostenermi insieme alle mie sorelle; indubbiamente la loro preoccupazione era legata alla precarietà, al compenso, avendo una determinata forma mentis».
D: Rispetto all’essere ballerino (ha avuto importanti esperienze compresa quella in una compagnia di qualità di Reggio Emilia), cosa ha aggiunto l’essere drag queen?
«Ho avviato questo percorso quando ancora facevo danza. Ero appassionato di moda, costume, ho lavorato sempre in teatro e questo mi ha influenzato. La drag queen racchiude queste arti insieme anche al canto. Per iniziare questo percorso mi sono impegnato nel cucire i vestiti e nel creare il design delle parrucche. Sicuramente la danza è stato quell’ingrediente che ha fatto esplodere il tutto».
D: C’è un’esperienza che l’ha segnata particolarmente?
«Un passaggio importantissimo è stato lavorare nel celebre locale Muccassassina di Roma».
D: L’essersi aperta all’interno del programma e in questa nostra conversazione pensa che possa essere da sostegno per chi la guarda e magari si riconosce anche in alcune difficoltà?
«Sì penso che “Drag Race Italia” possa esser stato educativo in tal senso; riconosco anche che bisogna anche calarsi nei panni di chi ha una forma mentis un po’ chiusa, non bisogna dare le cose per scontate. Magari è faticoso ‘educare’ però ciò che ci torna indietro è bellissimo: ad oggi mia madre mi è molto vicina».
D: Si può dire che il suo mantra sia andare controcorrente?
«Amo sconvolgere. Questo modo di prendere la vita non è sempre positivo, bisogna imparare a essere maturi per capire cosa si può dire e fare, altrimenti nascono incomprensioni. Va detto che ho sempre creduto in ciò che volevo: raggiungevo i traguardi che mi ero prefissato e ne creavo degli altri».
D: Quali sono quelli che desidera ad oggi?
«Vorrei trovare un lavoro stabile con una sicurezza economica, crearmi una famiglia ed essere felice».
D: Vorrebbe raggiungere questi scopi essendo Farida?
«Sì oppure facendo anche il costumista e/o lo stylist. Purtroppo in Italia la drag queen viene ancora percepita come un uomo che vuole travestirsi da donna per cui anche nelle discoteche l’immagine non viene valorizzata né sul piano artistico né su quello della giusta retribuzione. Senz’altro questa immagine della drag è più presente in persone di una specifica generazione, che però ha il controllo di teatri, locali e strutture importanti. Fare la drag queen è molto stressante perché sei il direttore creativo di te stesso, non è come ‘timbrare il cartellino’, per quanto lavoro c’è dietro anche sul piano della creazione ritengo che dovrebbe esserci una più equa retribuzione.
“Drag Race Italia” ha aiutato nel mutare la concezione anche negli stessi direttori dei locali».
D: Pensando ai sacrifici e alle conquiste, cosa direbbe a chi sta cercando di scoprire se stesso/a?
«Guardatevi intorno, cercate di essere un po’ più empatici, non viaggiate solo sul vostro binario. Provate a comprendere e ascoltare gli altri, serve anche per capire noi stessi. Bisogna mettersi molto in discussione per impegnarsi nel conoscere ciò che si è».