A partite da giovedì 23 settembre, in prima visione su Rai1, dalle h 21:25 circa, per sei puntate, è prevista una fiction che inaugura la stagione 2021-22 targata Rai e che promette di tenere sul filo del rasoio fino alla fine, ponendo delle domande etiche ed esistenziali.
Fino all’ultimo battito: trama
Diego Mancini (Marco Bocci) è un cardiochirurgo tra i più giovani e stimati d’Italia. Geniale e integerrimo è considerato da tutti onnipotente; ma Diego non è onnipotente, piuttosto il contrario, perché tutto il suo potere e tutta la sua bravura non possono nulla contro la malattia del figlio Paolo (Giovanni Carone), un bambino di sette anni, cardiopatico e ormai allo stremo delle forze. Solo un trapianto potrebbe salvarlo. Ma quando finalmente arriva un cuore compatibile, la prima in lista è una ragazza di quattordici anni, Vanessa (Emanuela Minna). Il cuore andrà a lei e qualcosa in Diego si spezza.
Da cardiochirurgo sa che la malattia di Vanessa è grave, ma che ha tempo per salvarla. Paolo, invece, di tempo non ne ha più. Allora Diego infrange il codice deontologico. Un unico errore disperato per salvare la vita di suo figlio e l’esistenza della sua famiglia.
Ma non esiste colpa senza pena…
Fino all’ultimo battito: cast, produzione e regia
Nel cast principale troviamo Marco Bocci, Violante Placido, Bianca Guaccero, Fortunato Cerlino e Loretta Goggi. Oltre a loro, ci teniamo a citare gli interessanti ruoli ricoperti da Francesco Foti, Gaja Masciale, Michele Spadavecchia, Francesca Valtorta e Michele Venitucci e ancora Brando Rossi, Angelo Pignatelli, Mimmo Mancini, Mohamed Zouaoui, Ralph Palka, Vanni Bramati, Pierluigi Corallo, Tiziana Schiavarelli, Antonella Bavaro, Ignazio Oliva, Alessia Giuliani. Si tratta di una coproduzione Rai Fiction ed Eliseo Multimedia – Luca Barbareschi e diretta da Cinzia TH Torrini.
Fino all’ultimo battito: conferenza stampa
MARIA PIA AMMIRATI, direttrice di RaiFiction: «Devo ringraziare questa serialità perché è stato uno dei primi titoli che ha impattato fortemente col lockdown e col covid; di conseguenza ha avuto tutti i problemi che potete immaginare e a cui ormai siamo abituati perché abbiamo imparato a conoscerli come: stop, ferrei protocolli, la paura della malattia. Grazie al produttore Luca Barbareschi e al coraggio che ha sempre Luca e ringrazio tutti, dalle maestranze ai tecnici, dagli attori alla regista e agli sceneggiatori poiché si sono dedicati con enorme disponibilità e passione affinché la ‘macchina’ non si fermasse. La seconda riflessione che ci tengo a fare è sul tipo di prodotto, straordinario per vari motivi: presenta una scrittura fortissima, ricca di intreccio – saluto Andrea Valagussa e con lui tutti gli sceneggiatori che sono dietro di lui. Era abbastanza complicato partire da un medical drama che poi diventa melodramma, per poi trasformarsi ancora in crime e family. Per dare unitarietà a tutto questo ci vuole tanto impegno anche sul piano del linguaggio. Un grande merito lo dobbiamo anche al tema difficilissimo, che si basa su una parola: il dubbio. Dal primo episodio fino all’ultimo ci tiene su una corda, interrogandoci quanto siamo disponibili a rischiare tutto per la nostra figliolanza».
LUCA BARBARESCHI: «Eliseo Multimedia è rimasta, forse, l’ultima azienda italiana poiché non abbiamo capitali stranieri e tutti i successi ottenuti li dobbiamo alla Rai perché abbiamo potuto, grazie a questa azienda – e lo dico veramente con grande orgoglio – dar vita a dei progetti pazzeschi che nessuno avrebbe mai fatto, da Olivetti a Mennea, e ad altre idee che si stanno sviluppando insieme. Qualcuno, anni fa, ha detto che la fiction ha distrutto il cinema italiano; io penso sia il contrario e cioè che la fiction nostrana abbia fatto bene al cinema perché il confronto quotidiano ha permesso, ad esempio, che noi ci facessimo le ossa con la Rai – lo dico perché non c’è nessun’altra azienda così forte dal punto di vista editoriale. Io sono un vecchio ermeneuta, mi interessa molto il giudizio etico che uno deve dare e in questo caso la vita del nostro protagonista è molto complessa poiché deve fare una scelta drammatica».
CINZIA TH TORRINI: «Sicuramente era una storia ‘sfidante’, nata da un’idea di Nicola Salerno, dove questo personaggio da eroe cade in un vortice infernale proprio dopo aver compiuto un atto che non avrebbe dovuto fare poiché va contro anche l’etica del suo lavoro in qualità di cardiochirurgo. C’è stato un grande lavoro a livello editoriale, di ideazione e scrittura con un team di sceneggiatori capitanato da Andrea Valagussa, a cui si è sommato il mio impegno a non giustificare il personaggio, ma ho cercato di entrargli dentro e sentire cosa avrei fatto io in quella situazione e capirne le conseguenze. A me piace cavalcare vari generi cinematografici e qui ci sono il medical, il crime, un po’ di commedia così come quello sentimentale che riesco a far emergere dagli attori. Mi ha aiutato anche il fatto di aver girato in Puglia, mi chiamano la regista del cineturismo perché comunque io non vado nei luoghi realizzando delle ‘cartoline’, ma voglio girare proprio anche il modo di vivere, ho conosciuto attori straordinari, mi piace raccontare i costumi, i sapori del luogo. Ringrazio Fortunato Cerlino, il quale ha studiato il modo di parlare di un boss pugliese e la sua gestualità. Ritengo di aver tirato fuori da Marco Bocci un mondo che forse nemmeno lui sapeva di avere dentro; Violante è entrata in un personaggio totalmente diverso da lei, una donna più fragile che cerca di vedere il formaggio nella sua totalità e non i buchi nel formaggio.
Bianca si è misurata con un personaggio che sta tra il bene e il male. Ho scelto ancora una volta, in un mio progetto, la straordinaria Loretta Goggi per il ruolo di Margherita, madre di Elena, totalmente trasformata. Abbiamo avuto un cast pazzesco, con 85 attori parlanti, arricchito da giovani bravissimi di origine pugliese: Gaja Masciale che interpreta Anna, Michele Spadavecchia che è Mino Patruno e, non per ultimi, il piccolo Giovanni Cadone nei panni di Paolo e la giovanissima Emanuela Minno in quelli di Vanessa. Spero che questa serie possa essere vista da molte famiglie».
MARCO BOCCI «Entrare in questo ruolo è stato naturale perché ho subìto il suo fascino fin dalla prima lettura del copione. Erano anni che non realizzavo serie e Diego Mancini mi è rimasto addosso. Essendo il personaggio ben scritto, con una storia che parte in un modo e poi piano piano ha dei cambiamenti, mi è bastato usare semplicemente il mio percorso artistico ma anche affidarmi totalmente alla sceneggiatura. Solitamente tendo ad avere una visione delle storie estremamente drammatica e a cavalcare il dramma fino al midollo, nello sguardo, nel tono della voce e Cinzia ha cercato di farmi vedere, in maniera anche insperata, il motivo per cui dovessi uscire da Diego Mancini e dal suo dolore. In più ho avuto la possibilità di avere dei chirurghi e dei medici che mi hanno assistito e aiutato in sala operatoria spiegandomi per filo e per segno come si effettuano gli interventi o ancora come vedere se ci sono emorragie interne.
Probabilmente avrei fatto la stessa scelta del protagonista se mi fossi trovato in una situazione simile, ma poi ci sono tanti momenti in cui si mette in discussione. È uno dei personaggi che mi ha messo più in contatto con me stesso. Suo figlio ha la stessa identica età dei miei e da attore ti poni delle domande che riporti nella tua vita. Questo mi ha permesso di empatizzare in maniera così diretta e concreta. Ammetto di aver sentito una grande responsabilità perché è la prima serie che interpreto per la Rai e perché credo che terminare questo lavoro sia stata un’impresa eroica dal punto di vista produttivo. Abbiamo girato nel momento peggiore della pandemia, 22 settimane di cui 21 in zona rossa, quindi rispettando le normative e poi chiusi in albergo, tra quarantene e tamponi. Abbiamo condiviso ogni perplessità ma anche ogni scena, ne parlavamo e riparlavamo. C’è stato un momento in cui ci guardavamo e pensavamo che non ce l’avremmo fatta. Alla fine siamo arrivati al termine. Quando investi così tanta fatica avverti un senso di responsabilità grande sia verso la serie che verso le persone che ci lavorano».
VIOLANTE PLACIDO: «Questo personaggio è quello finora che mi ha impegnato di più emotivamente perché è stata una prova importante. È una donna che si ritrova ad affrontare le sfaccettature che riguardano la sfera familiare, intima e sentimentale, sono realtà che magari non abbiamo vissuto tutte ma che una mamma pensa quando ha dei figli. Affronta un percorso doloroso e quindi si aggrappa ancora di più a questo secondo marito che la fa sentire protetta e ha voglia di ricambiare il suo amore affiancandolo anche nel suo percorso di primario e aprendo questa associazione che aiuta le famiglie dei malati.
Elena è generosa e crede nella famiglia. Il fatto di lavorare con una troupe per sei mesi tutti nello stesso posto è stata un’esperienza straniante, insieme in hotel come se fosse una comune e incontrandoci la sera per mangiare, al contempo ci ha fatto sentire meno soli. Quando l’Italia era isolata noi avevamo la fortuna di essere super protetti, abbiamo vissuto una normalità quasi più degli altri e ci sentivamo fortunati a poter lavorare. Questa storia che tratta temi difficili ed è stata faticosa come sfida mi ha fatto tornare la vitalità e la voglia di metterci la passione».
FORTUNATO CERLINO: «I protagonisti sono anche le persone che stanno intorno alla vita di Mancini. È una serie coraggiosa, che non esalta certi mondi e io ho la responsabilità di interpretare questo boss della malavita, che nemmeno la cardiopatia e il carcere duro hanno scalfito. In questi dieci anni di reclusione l’unico contatto con il mondo esterno è stata Rosa, la sua bellissima nuora, vedova del figlio, ucciso in un regolamento di conti poco prima del suo arresto».
LORETTA GOGGI: «Cinzia è talmente attenta al personaggio che ti fa diventare protagonista anche se il tuo ruolo in realtà non lo è ai fini della storia. Interpreto la mamma di Violante, una mamma di quelle tipiche che dicono sempre: “te lo avevo detto”, che non è proprio il massimo per una figlia che magari ha commesso un errore da giovanissima e che adesso però la riempie di orgoglio perché sta con un cardiochirurgo di fama.
BIANCA GUACCERO: «Devo ringraziare sinceramente la produzione perché stavo lavorando a “Detto Fatto” in diretta tutti i giorni, partivo il giovedì da Milano e andavo a Bari per girare le mie scene ed è stato fatto un grande sforzo produttivo. Quando ho conosciuto Cinzia ho sostenuto il provino da cellulare, è durato tre ore e ho dovuto baciare lo schermo dove c’era Marco Bocci. È stata la prima volta in cui lavoravo con una regista e ho sentito in qualche modo una sensazione diversa, al di là del fatto che sia una donna e riesca ad entrare nel nostro mondo irrazionale, mi sono affidata con naturalezza. Sono rimasta colpita dal mio personaggio, la quale a volte usa anche il suo corpo per ottenere le cose, è borderline, lotta per amore di suo figlio, e sta a metà tra il bene e il male».
«Pensiamo che il confine tra Bene e Male sia netto, bianco o nero, giorno o notte.
Ma se il medico che tradisce il codice deontologico è un padre che obbedisce all’imperativo di salvare la vita a suo figlio?
Dove starebbero in quel caso il Bianco e dove il Nero?
Dove il Giorno e dove la Notte?
Quando è giusto fare la cosa giusta?».