GABRIELE PIGNOTTA racchiude in sé diverse anime – che a tratti fa trasparire dai toni e tra le pieghe di questa conversazione – e figure. Vi starete chiedendo in che senso… ecco è «Regista, attore, sceneggiatore e commediografo, per Gabriele questi ruoli non sono scollegati ma fanno parte di unico indissolubile flusso espressivo e creativo. Il suo talento comunicativo ha dimostrato negli anni di avere un’ampiezza di 360°» (dalla presentazione sul suo sito ufficiale).

Attualmente è in scena al Teatro Manzoni di Milano con “Scusa sono in riunione… ti posso richiamare?”, la cui tournée proseguirà fino a marzo 2022. Una commedia corale in cui ogni attore (Vanessa Incontrada, lo stesso Pignotta, Fabio Avaro, Siddhartha Prestinari e Nick Nicolosi) è protagonista in egual misura e ci pone di fronte a situazioni familiari, a caratteri e pensieri in cui potersi riconoscere. «La generazione dei quarantenni ne esce come quella di adorabili perdenti, pieni di fragilità, di insicurezze, di stress, di nevrosi, di patologie più o meno complicate a livello psicologico, ma proprio per questa fragilità adorabili nella loro imperfezione. E quindi non puoi non volere bene a questi personaggi che in fondo sono proprio uno spaccato preciso e fedelissimo di ognuno di noi. Io ho voluto ironizzare su una generazione, che forse è anche un po’ più estesa», ha spiegato l’autore nelle proprie note di regia.
Il nostro dialogo parte proprio dal voler approfondire questa pièce.
Scusa sono in riunione… ti posso richiamare?
Gabriele Pignotta: «Bisogna dare al pubblico una motivazione valida per muoversi nel venire a teatro»
D: Gabriele, qual è la percezione che ha avvertito durante queste repliche prima della pausa natalizia?
«Il pubblico ha voglia di tornare a vivere un’esperienza live come quella del teatro e mi riferisco principalmente per chi era solito già andarci. Poi c’è un’altra componente, quella dello spettatore saltuario che, di fronte a uno spettacolo così divertente e travolgente, ha riscoperto il piacere di uscire di casa, divertirsi e passare una serata diversa, visto che film e serie in abbondanza le aveva già viste. Ammetto che stava partendo una bella onda già dal debutto del 10 dicembre: abbiamo fatto dei numeri miracolosi se si pensa al momento che stiamo vivendo – una media di 500 spettatori a replica. Ora sarà necessario comprendere quale piega si prenderà, sicuramente chi frequentava già la sala teatrale è colui che ha deciso di vaccinarsi per potersi godere anche altre cose nella vita. Io sto attento, ma voglio tornare dopo due anni a fare una vita.

Conscio di ciò che sta avvenendo e della risposta che abbiamo registrato, in particolare a Milano, sono spinto ad affermare che bisogna dare al pubblico una motivazione valida per muoversi perché, se si deve andare a teatro, indossare e tenere la mascherina, fare il vaccino e poi assistere a qualcosa di pesante, la gente si distacca».
D: Purtroppo proprio in vista degli ultimi giorni del 2021 e per la programmazione iniziale del nuovo anno, molte repliche e debutti sono stati annullati poiché sono risultati dei positivi tra i lavoratori dello spettacolo e/o per precauzione…
«Devo dire che si tratta anche di fortuna, abbiamo effettuato l’ultimo tampone proprio 24h prima di tornare in scena ed eravamo tutti in trepidazione poiché sembrava una roulette russa».
D: All’inizio della conferenza stampa aveva fatto quasi un appello alla stampa affinché vi sostenessimo nel comunicare non solo lo spettacolo, ma anche quanto questo luogo sia sicuro. Purtroppo, con tutto il rispetto verso i ristoratori, ascoltando i tg sembra che si dia maggiore spazio a questa categoria (o loro riescono a prenderselo). Eppure è nata U.N.I.T.A. che sta facendo grandi passi per i diritti e le tutele degli interpreti – che meriterebbe speciali e approfondimenti – così come altre associazioni di categorie… Ai telegiornali e nelle trasmissioni di informazioni sembra che non si prendano in considerazione i dati dei cinema a Natale e che anche per San Silvestro le persone stanno annullando le prenotazioni sia alle sale cinematografiche che teatrali…

«Siamo di fronte a un quadro di cambiamento, nuovo, in cui bisogna comprendere come relazionarsi con questo tipo di problematiche e, ognuno, ci sta provando a proprio modo. La percezione che ho è che ci sia la volontà di convivere con questo virus e penso sia l’unica strada, anche perché è una situazione che, ad oggi, non sappiamo se e quando finirà. U.N.I.T.A. (di cui fa parte, nda) sta facendo tantissimo, ma abbiamo bisogno di chi veicoli sul piano comunicativo, che ci si supporti nel far comprendere l’importanza dello spettacolo dal vivo… dovrebbe diventare un bisogno come lo si avverte rispetto al cibo (e quindi ci si interessa ai ristoranti) e non un’esperienza riservata a pochi».
Il lavoro sul testo e con gli attori
D: Addentrandoci nella commedia: della drammaturgia che già aveva scritto, quanto è mutato relazionandosi con la compagnia?
«Abbiamo fatto le letture a tavolino e, non sembra, ma tutte le battute che si sentono sono state scritte oppure sono frutto di ciò che è accaduto dal vivo nel corso delle prove. Per me l’attore deve sentirsi libero, se dicendo il testo gli viene da suggerire una modifica o un’altra battuta, vaglio e se riscontro un’efficacia diventa copione; però c’è sempre un’attenzione specifica anche in momenti che potrebbero risultare improvvisati. Da parte mia c’è un gran rigore, sono molto scrupoloso, ho la fortuna anche di essere in scena con loro perciò valuto tutto quello che succede ogni sera – d’altro canto sono contento che tutto ciò non venga percepito.

È essenziale creare il clima adatto per consentire all’attore di sentirsi sempre a proprio agio sia sul piano umano che professionale – credo che questo derivi anche dai miei studi, sono laureato in ‘Sociologia della formazione e della motivazione delle risorse umane’. Non sono un regista che impone, cerco di far sentire l’interprete protagonista e, parallelamente, parte di un gruppo ed è così che nasce la struttura corale».
La naturalezza in scena
D: Siete molto naturali…
«È come se si assistesse da dentro a un’esperienza che potrebbe verificarsi a ciascuno in platea. Il pubblico si immerge completamente in un contesto così vicino, di conseguenza, in questo processo, il testo e la messa in scena sono molto realistici. Non si avverte mai l’artificio.

Personalmente mi sento a disagio con quel distacco presuntuoso innescato dal teatro istituzionale che spinge lo spettatore a doversi arrampicare per capire che cosa abbia voluto dire (si riferisce al teatro ermetico, evocativo, simbolico, nda). Ognuno è libero di esprimersi come vuole però si richiede al pubblico uno sforzo enorme e, poiché tutti viviamo dai soldi che lo spettatore investe per venire, credo che un po’ di rispetto anche in questo senso non guasterebbe».
Gabriele Pignotta spiega i diversi mood dei due atti

D: A proposito delle tematiche, spesso ognuno di noi ha pensato che gli amici conosciuti durante gli studi sarebbero rimasti per sempre. Voi mettete in scena quanto la frenesia di lavorare per vivere e non il contrario fagociti e poi – senza rivelare il colpo di scena – è come se ci debba essere per forza qualcosa di forte per riuscire a riportarci a quel recupero della dignità.
All’inizio si diceva a proposito del covid che la gente sarebbe diventata più buona perché avrebbe avuto tempo per riflettere; a me sembra che ci si sia chiusi e talvolta incattiviti. Sarebbe bello che il vostro spettacolo faccia riflettere anche sui rapporti personali…
«Il primo atto è più statico pur essendoci strabordanti battute derivanti da situazione, dagli inciampi umani e dalle fragilità… è il grande insegnamento comunicatomi da Chaplin, l’unico faro per quanto mi riguarda. Ci si immerge in una dimensione più intima ed emozionale, certamente dipende da quanto aperto è lo spettatore nel momento in cui vi assiste.

Sicuramente la voglia di ridere è talmente tanta che si finisce a farsi trasportare dalla commedia, la quale, nella seconda parte, diventa una giostra degli equivoci: tutto diventa distorto, iperbolico, ci si abbandona al circo della risata e alla fine questa esperienza anche fisica della risata, scarica da una serie di brutti pensieri o piccole inquietudini. Alla fine viene lanciato un messaggio, non a caso in chiusa per portarsi a casa ciò che si è imparato, ma senza moralismi».
La figura dell’analista
D: Viene fatta dell’ironia sulla figura dell’analista e, allo stesso tempo, emerge la possibilità che questi possa diventare un aiuto per il suo personaggio. Quanta dose di ironia c’è e quanto, invece, ci crede?
«Ci credo tantissimo, spesso ironizzo sulle cose in cui credo di più – tant’è che ne faccio uso quando serve. È una figura professionale che si presta tantissimo allo sfottò tant’è vero che Tommaso risponde che con la metà del compenso l’avrebbe ascoltata lui».
D: Sì, però facendo i piatti contemporaneamente…
«Non è abituato a capire il lavoro che può fare uno psicologo: in primis l’ascolto – premesso che debba essere bravo. Ho letto che a Napoli ci sarà la prima figura di psicologo passato dalla mutua, come il medico di famiglia. Curare la psiche, l’anima e quindi il nostro software è una necessità che purtroppo si prende ancora troppo poco in considerazione; si potrebbero risolvere e/o alleggerire tantissimi problemi interpersonali, familiari, di rapporti».

D: Esiste ancora un pregiudizio verso questo tipo di lavoro…
«È visto ancora un po’ come ‘il medico dei matti’. Io l’ho inserito quasi sempre, anche nel mio primo film “Ti sposo ma non troppo” interpretavo un fisioterapista che si spacciava per psicologo per conquistare la sua ‘preda’. Nella commedia “Contrazioni pericolose” – che mi auguro di riprendere presto – il protagonista si rivolge spesso per telefono allo psicologo. L’uso ricorrente della terapia e della psicoterapia mette in luce un tema a me caro: la fragilità legata a un modus vivendi che va in direzione opposta alla soluzione di questa fragilità perché ci stiamo creando degli avatar che non aiuteranno per niente a risolvere questi problemi, anzi gli affidiamo un tipo di felicità che non riusciremo mai a raggiungere. I miei argomenti preferiti sono fragilità, precarietà, ossessione per l’apparire e per il successo».
Scopriamo cosa Gabriele Pignotta si direbbe davanti allo specchio
D: Rilanciando a lei una delle battute dello spettacolo, cosa si direbbe davanti allo specchio?
«Mi direi: continua così perché sono sempre riuscito a fare progetti nel quale avevo il pieno controllo. È sempre stata fondamentale la libertà espressiva. Ad esempio, l’ultimo film che ho realizzato (deve ancora uscire) è tratto dalla mia opera teatrale “Toilet”: è una commedia dove c’è solo un personaggio all’interno di un bagno. Ho voluto realizzarlo io anche come attore».
D: In questo senso si sente supportato a livello produttivo?
«Assolutamente sì, con questa collaborazione con Walter Mramor (direttore artistico) di a.Artisti Associati ho trovato il mio riferimento produttivo tant’è vero che siamo già al terzo progetto e sono molto contento. Dal punto di vista cinematografico non è ancora semplice, è un sistema più chiuso, ad ogni modo sono al mio quinto film per cui non mi lamento».
Gabriele Pignotta e la ‘definizione’ di teatro
D: Edoardo Sanguineti ha affermato: «Travestimento. È il miglior sinonimo esplicativo che io conosca per “Teatro”». Cosa ne pensa di questa sua definizione?
«È giustissima perché mi si addice tantissimo. Travestimento è collegato al travestirsi per dissimulare una certa verità. Mi travesto da personaggio, da commedia per raccontare una verità, ma non è finzione. Spero che rimanga sempre così».
I prossimi progetti di Gabriele Pignotta
D: Quali sono i prossimi progetti in uscita e in cantiere?
«Debutterò con uno spettacolo di cui curo la regia, che riprende un celebre film francese degli anni ’80, “Tre uomini e una culla”, sempre prodotto da a.Artisti Associati. Sono co-protagonista insieme a Giorgio Lupano, Attilio Fontana.
È ‘congelata’ l’uscita di “Toilet” prodotto da Vision Distribution e Fenix Entertainment perché non si sa, visto il caos attuale e i tanti lavori ‘in coda’, quando potrà uscire… è un progetto a cui tengo tantissimo, in cui mi sono tolto lo sfizio di realizzare un ‘one movie’. Nella prossima stagione teatrale riprenderò tutti e tre gli ultimi lavori e sto iniziando a scrivere il prossimo film».
D: Quanta creatività…
«Serve a esorcizzazione l’abbattimento, pensare a un progetto ci tiene più in vita, ci rende ‘immortali’».
Ph cover Giovanni de Sandre