GRETA SCARANO ha lasciato recentemente il segno (o probabilmente sarebbe più corretto dire i segni) per la sentita, credibile e toccante interpretazione di Anna in “Chiamami ancora amore” (serie tv in tre puntate andata in onda su Rai1) per la regia di Gianluca Maria Tavarelli. Se ci si sofferma, a ritroso, sui progetti realizzati sino ad ora, non si possono non cogliere la versatilità e un’altra qualità che lei stessa ci svela durante l’intervista (e ve la lasciamo scoprire leggendo) e notare un percorso in cui, di pari passo anche con la maturità artistica e personale, svia dalla ‘comfort zone’ – sempre che l’abbia mai cercata.
Classe 1986, dialogando con lei si ha la percezione che abbia un mondo da raccontare. Non fraintendete: non ha la presunzione di avere un’opinione su tutto, ma è una donna curiosa, che a seconda del momento va di pancia oppure più di testa, e una professionista che ama la strada che ha scelto di percorrere.
Ci siamo confrontati con lei a partire dall’uscita in sala come evento speciale (dal 26 al 28 aprile 2022) de “La cena perfetta” diretto da Davide Minnella.
La cena perfetta: sinossi
Suspence, azione, commedia e un pizzico di romanticismo sono gli ingredienti del film dove Carmine (Salvatore Esposito) è un camorrista dal cuore buono e Consuelo (Greta Scarano) una chef alla ricerca della perfezione. L’amore per il cibo e il sogno di conquistare una stella Michelin daranno ad entrambi una seconda possibilità e un’occasione di riscatto.
Greta Scarano: intervista
D: Greta, in una scena di confronto/scontro tra te e Salvatore quest’ultimo sottolinea i luoghi comuni e i pregiudizi legati a uomini come lui per poi aggiungere: «Credo nel tuo talento e ci voglio investire. Cos’è? Hai paura di fallire un’altra volta?».
Al di là di quelli espliciti, quali tipi di pregiudizi riesce a scardinare il vostro film?
«Carmine richiama in parte lo stereotipo parlando napoletano, in più arriva a Roma già con un po’ di soldi, quindi Consuelo pensa che possa essere un camorrista. Di fatto lui è cresciuto in quell’ambiente, però è una vittima di quel sistema. Cerchiamo di raccontare una seconda possibilità che un personaggio come lui vuole concedersi, il quale, pur essendo cresciuto in un contesto criminale, cerca di condurre una vita pulita. Il suo cercare di esprimere, tramite la cucina e il cibo, la propria interiorità ritengo che sia un punto molto nobile per il film. Scopre come il mondo della ristorazione gli si addica moltissimo e magari, se fosse nato in un contesto diverso, avrebbe fatto molto meno fatica ad andare in quella direzione.
Dal canto mio, ho rappresentato un personaggio che non è rassicurante. Spesso, anche per ciò che ci viene mostrato, è più semplice optare per un ruolo appunto rassicurante e che, in qualche modo, dipende dalla figura maschile; Consuelo è totalmente indipendente, spigolosa, non vuole farsi amare, desidera trovare la propria strada, ambendo a una grande carriera. Vedere il femminile non rassicurante credo sia molto interessante – ciò acquista ancora più valore tenendo conto di ciò che offre il panorama italiano, e questo è stato un punto che mi ha colpita tantissimo leggendo la sceneggiatura. Ho cercato di far empatizzare il pubblico con una persona con delle aspirazioni molto alte, disposta a farsi in quattro pur di realizzare i suoi sogni».
D: Richiamando l’altra riflessione, nel tuo percorso fino ad ora, hai mai provato la paura di fallire davanti a un progetto?
«L’essere continuamente esposti è una condizione, in parte, insita nel nostro lavoro, ti mette nella condizione di dover superare la paura del giudizio altrui. Nel mio caso quello che temo più di tutti è quello di me stessa. Quando mi approccio a questo mestiere da un lato cerco di essere consapevole, dall’altro sono una persona che si butta nella vita per cui, al netto dell’impegno profuso, mi dico: o la va o la spacca. La paura del fallimento è qualcosa che non mi appartiene; cercare di fare le cose bene – che sia un film o una serie che io vedrei – per me è fondamentale.
Sono altre le cose che mi spaventano. Non mi piace vivere con paura la mia professione».
D: Consuelo afferma: «La cucina mi ha salvato la vita». Se dovessimo traslarlo su di te, potresti dire che fare questo lavoro ti salvi la vita?
«[Coerentemente con ciò che ha affermato prima in merito alla consapevolezza risponde] Sono cresciuta in una città che mi ha offerto tante possibilità, in una famiglia piuttosto normale, non sentivo l’esigenza di farmi salvare da qualcosa. Sicuramente la grandissima fortuna che sento di aver avuto – che non mi ha salvata, ma mi ha reso la persona che sono – è il fatto di riuscire a vivere del mio mestiere – so che non tutti possono dirlo. Questo per me è fondamentale e continuerò a perseguirlo per tutta la vita».
D: Utilizzando sempre una battuta da “La cena perfetta”, chi è stato il primo che ha detto: «Credo nel tuo talento»?
«Quando sono entrata a “Un posto al sole”, in quegli anni c’erano Francesco Nardella ed era diretto da Costanza Quatriglio. Dovevo interpretare un ruolo importante, non avevo fatto nulla, ma mi dissero: “Crediamo in te”. Ricordo mia madre che mi accompagnò in treno a Napoli per il provino e sentì che loro volevano investire su di me. Sono stati i primi».
D: In uno scambio di opinioni tra chef, Consuelo asserisce: «Proprio perché è la più effimera di tutte che la cucina è la forma d’arte più alta. Il quadro sta lì, appeso, è fine a se stesso, mentre la cucina ha un rapporto carnale, diventa una parte di te, è una cosa erotica. Non c’è una forma d’arte più pura della cucina». Quanto condividi questo pensiero?
«Mi piacque moltissimo come riflessione e anche come momento di scena. A me piace tantissimo mangiare, andare nei ristoranti di tutti i tipi, scoprire le culture attraverso la cucina che propongono, cerco di viaggiare il più possibile e captare le identità culturali tramite il cibo. A Roma si mangia abbastanza bene… amo andare nelle trattorie e mi ‘butto’ nel provare anche i ristoranti stellati perché quell’idea che mangi un pensiero, una visione è bellissimo, la trovo qualcosa di molto alto. Il fatto che ci sia stata una persona – o più di una – che ha pensato, creato, scelto degli ingredienti, li ha composti e si è lasciata ispirare e me li ha portati in tavola, quando tutto ciò viene fatto con cura e con amore, mi emoziona molto».
D: Consuelo stessa afferma di aver compreso cosa manchi alla sua cucina: «La memoria storica», di essere scappata dai suoi ricordi ed è toccante il titolo che dà al piatto: ‘Empanadas nostalgia’. Il regista ha dichiarato che vi siete molto impegnati nel dare profondità a due personaggi così complessi, potresti approfondire questo punto?
«In merito alla complessità del ruolo molto dipende da com’è stato scritto: c’era già un’ottima base, poi noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo per renderlo credibile, con l’intendo di conferirle più corpo e sfumature possibili. Fernand Point – celebre chef (considerato il padre della moderna cucina francese, nda) – disse che la perfezione è nelle piccole cose ed è un’idea in cui credo fermamente e mi ci rivedo anche come attrice: sono le sfumature che sommate danno una struttura. Non ci si aspetta dalle piccole cose il potere che hanno. In cucina è tutto così e Consuelo lo sa perciò è molto attenta ai dettagli, che escano col dosaggio giusto, dell’altezza che dice lei».
D: Riflettendo sulla memoria (essendo trascorsa la ricorrenza del 25 aprile) e su questo momento storico…
«La memoria è fondamentale in quanto il passato ci ha resi quello che siamo. È essenziale continuare a ricordare ciò che è accaduto, compresi gli errori, che purtroppo continuiamo a fare. Adoro la Giornata del 25 aprile perché ci ricorda da dove veniamo, dovremmo averlo sempre in mente ciò che è successo. Purtroppo ciò che sta avvenendo in questo momento storico nel mondo è talmente grave: quello dell’Ucraina è molto vicino a noi per cui lo sentiamo maggiormente e in più è una guerra di aggressione, ma i conflitti sono tanti a livello mondiale… Ritengo che non avere paura del proprio passato sia importantissimo».
D: Richiamando il sentimento della nostalgia – tanto caro anche a Pessoa – cosa ti viene in mente?
«A chi non piace un po’ perdersi nei ricordi di cose che magari non ci sono più. La forza motrice che mi spinge è vivere il presente, non mi crogiolo nella nostalgia anche perché c’è qualcuno di caro che se n’è andato e provoca dolore. Per il mio lavoro non amo pescare nelle mie sofferenze private perché le considero personali; cerco di dare ai miei personaggi qualche motivo valido per soffrire che prescinda un po’ da me».
D: Quando ci siamo incontrate alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e tu eri nella giuria opere prime avevi accennato alla voglia di tornare in teatro con cui hai cominciato, c’è questa prospettiva?
«Esiste. Ho trovato un testo che mi piace molto, ma è tutto in una fase molto embrionale. Mi auguro che si concretizzi».
D: A proposito di ricordi, nel 2018 hai ricevuto il Premio Flaiano Televisione e Radio per l’interpretazione di Emanuela Loi in “Liberi Sognatori. Le idee non si spezzano mai – La scorta di Borsellino – Emanuela Loi” e quella di Elena ne “La linea verticale”.
Per ciò che hai voglia di condividere di questo secondo progetto, cosa ti rimane vivo di Mattia Torre?
«Mi chiedo spessissimo cosa direbbe di ciò che sta avvenendo, cosa avrebbe detto del covid… è la stessa cosa che mi manca di più di lui: il suo sguardo sulle cose. Cerco di immaginarlo, ma non ci riesco».
D: Possiamo anticipare qualcosa sui prossimi progetti?
«Uscirà la serie “Circeo” (al Bif&st 2022 si è tenuto un incontro di presentazione del progetto, nda) a cui ho preso parte, diretta da Andrea Molaioli, ma non si sa ancora quando».