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Artisticamente Magazine

L’attore e regista Marco Bonadei, dal film “Comedians” a una nuova compagnia

L’attore e regista Marco Bonadei, dal film “Comedians” a una nuova compagnia

Tempo di lettura: 10 minuti

 

Spesso e volentieri, nonostante le cose siano un po’ mutate, gli attori che hanno alle spalle tante esperienze teatrali devono ‘vincere’ pregiudizi e attendere la giusta occasione, che tra domande e certezze, è arrivata anche per l’attore genovese MARCO BONADEI. Co-protagonista di “Comedians” per la regia di Gabriele Salvatores, interpreta Sam Verona, un ebreo, proprietario di un club in periferia, il quale, come tutti gli altri cinque ‘poveri cristi’, sotto la guida del maestro Eddie Barni (Natalino Balasso), vorrebbe dare una svolta alla propria vita attraverso l’arte dell’attore.
Lo abbiamo intervistato insieme a un altro co-protagonista del film, Vincenzo Zampa, amico fraterno con cui ha condiviso spesso le tavole del palcoscenico e a breve una nuova avventura di cui ci parla nel corso dell’intervista. Volutamente abbiamo realizzato due articoli separati per dar loro spazio, ma se li leggete di seguito, non potrete non percepire la vera amicizia e la stima artistica che passa tra di loro.

Marco Bonadei Comedians
Ph Marcella Foccardi

Bonadei e l’esperienza di “Comedians”


D:
L’approccio al lavoro si può dire che sia stato quasi teatrale, essendoci stati dieci giorni di lettura a tavolino. Quando siete andati ‘sul campo’, quanta improvvisazione c’è stata?

«Oltre all’improvvisazione verificatasi nel corso della fase delle prove, [con entusiasmo ricorda come] anche nella fase di girato ci siano state delle proposte, ad esempio, non avevamo ancora deciso quale soprannome darmi e a Vincenzo (Zampa, nda) è venuto spontaneo affermare: “zitto Tel Aviv” e quella è stata un’intuizione molto bella, ‘giocata’ sul mio mondo di appartenenza (intendendolo del personaggio, nda)».

D: Al di là della complicità assodata tra te e Vincenzo, merito anche degli anni di lavoro all’Elfo di Milano e di un’amicizia, dal tuo racconto, si percepisce che sia nata anche con gli altri attori del gruppo…

«È proprio così: stare lì per un mese e mezzo insieme, con persone e professionisti intelligenti, umili e disponibili ha creato coesione. A ciò si è aggiunta la questione covid – abbiamo girato tra fine agosto e tutto il mese di settembre – per cui noi non potevamo tornare a casa e questo ci ha ‘costretti’ in una bolla, come se fosse una parentesi di vita, che ha permesso una credibilità nei rapporti e nella formazione di un gruppo che racconta l’ultima sera di scuola di un anno intero».

Marco Bonadei Comedians
“Comedians”

D: Cosa ti ha colpito di questo testo?

«Gabriele avrebbe voluto intitolarlo “Comedians – Non c’è niente da ridere”, poi si è optato solo per “Comedians”. Un aspetto che ritengo molto interessante ritengo stia nel fatto che questo testo, insieme all’interpretazione di tutti, riesce a portare un’umanità complessa, nel senso che non è bidimensionale, nonostante abbia delle spinte ben caratterizzate. Ogni personaggio porta con sé il nero che possiede al proprio interno, tanto quanto una finestra di bianco. Tutti noi sei abbiamo delle ambizioni, delle spinte crudeli e, al tempo stesso, siamo degli esseri umani con le proprie tenerezze e fragilità – questo deriva dalla grandezza della scrittura, dal lavoro compiuto da noi, ma soprattutto da come ci ha diretto Gabriele».

D: Come Salvatores ha scelto di guardare il tuo specifico ruolo?

«Violento, nevrotico e figlio di una situazione di stress e di paura nel non riuscire a emanciparsi. Ho lavorato, infatti, principalmente sulla paura, che poi degenera in tante dimensioni, tra cui a tirare un vero pugno a Vincenzo (con Zampa che confessa come quella lotta abbia lasciato i segni su vari interpreti, anche perché non era preparata, nda). Gabriele voleva girare questo momento in maniera western tra me e Giulio Zappa/Pranno che si fronteggiano e, una sera, in camera con Giulio, riflettendo proprio sulla scena, ci siamo accorti che dovesse arrivare lo scoppio della violenza e così abbiamo detto al regista che noi ci saremmo fatti guidare dalla spontaneità. A un tratto, però, mentre giravamo, è intervenuto col suo piglio e ha affermato: “sì, però, ragazzi io penso che la recitazione sia anche finzione per cui non fatevi male”».

Marco Bonadei Comedians
Ph Marcella Foccardi

D: Nel film viene evidenziata la volontà di scardinare gli stereotipi, durante il tuo percorso professionale quanto sei stato stimolato su questo?

«Lavorando con Elio De Capitani (co-direttore artistico del Teatro Elfo Puccini di Milano, regista e attore, nda) posso affermare che lui lavora completamente contro gli stereotipi, i luoghi comuni e i cliché. In questi anni di lavoro con lui mi è stato passato di imitare la vita, non di imitare l’imitazione della vita».

D: Tu dai corpo a un ebreo e nel testo ci sono anche delle battute/frecciate; pensando ai benpensanti e al politically correct, non avete avuto paura che venisse criticato, soprattutto dagli stessi ebrei?

«Il moralismo non mi spaventa, sono politicamente scorretto, ma è ovvio che se l’ironia la fa un comico ebreo sull’ebraismo stesso è più facile accettarlo rispetto al fatto che la facesse un comico non ebreo. In quest’ottica mi vengono in mente Abraham Yehoshua, Woody Allen o ancora Moni Ovadia – quest’ultimo, in un famoso racconto, trasmette come possano essere più antisemiti gli ebrei degli antisemiti stessi».

Marco Bonadei
“Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte”

Il potere della battuta


D:
Citando dal lungometraggio: «una vera battuta deve aver voglia di cambiare la situazione». Quanto sei d’accordo con questo?

«Ritengo ci sia spazio per tutto e che l’arte non debba essere solo ed esclusivamente intrattenimento né essere strumento di cambiamento. Mi ‘repelle’ un po’ perché trovo ottuso chi crede in una sola e unica direzione, ma questo è un mio personalissimo punto di vista. A tal proposito mi tornano in mente le parole di un maestro come Peter Brook il quale ha affermato: “È giusto che un regista o un artista creda fermamente e convintamente che la sua arte sia l’unica possibile perché in questo modo andrà davvero fino in fondo”.
Tirando le fila, se penso a ciò che sento profondamente pure rispetto ai generi, non chiudo le porte a un genere specifico, sono aperto».

D: Marco, istintivamente, dato che c’è chi ancora fa confusione sulla differenza tra comico e attore di commedia, cosa diresti a riguardo?

Marco Bonadei Il menù della poesia
“Il menù della poesia”

«Ho un ‘problema’ nel definire e catalogare l’arte: di sicuro il comico deve far ridere; la commedia deve avere come imprinting qualcosa che sia leggero, che non casa nel dramma, ma non per forza deve portarti alla risata. Può far sorridere, essere leggera, stimolare sentimenti positivi.
“Comedians” per quanto mi riguarda è un film drammatico».

D: Qual è il ‘lato oscuro’ del tuo Samuele Verona?

«Credo che sia il mio che quello incarnato da Vincenzo dicano la stessa cosa con delle battute diverse. Michele Cacace asserisce: “Io voglio essere ricco e famoso” e il mio dice: “Voglio la tv, i teatri nazionali”, da cui emerge l’ambizione a voler diventare qualcuno e per farlo, la strada più veloce, sono i reality. Siamo di fronte a un film sulla rivalsa sociale, sul successo facile e sull’ insoddisfazione di una classe sociale».

Marco Bonadei Elfo Puccini
“Nel guscio” dal 2 luglio 2021 all’Elfo

D: Ribaltandola su di te?

«L’ambizione che possiede Sam Verona ce l’ho anch’io, in modalità diversa perché ne ho fatto un mestiere vero, non faccio un corso serale, occupandomi parallelamente di altro».

Marco Bonadei Morto di un commesso viaggiatore
“Morte di un commesso viaggiatore”

Scoprite con noi “La variante umana”

Marco Bonadei freme dalla voglia di dare una notizia che condivide con Vincenzo Zampa, a dimostrazione ancora una volta, della stima umana e artistica che li lega: «Stiamo fondando istituzionalmente una compagnia che si intitola “La variante umana” e stiamo lavorando con l’Elfo affinché i nostri progetti possano debuttare presso di loro».

Gli inizi e la formazione di Marco Bonadei

Dai progetti in essere e nel futuro prossimo, passiamo agli esordi proprio perché riteniamo che sia importante conoscere meglio attori non ancora noti su larga scala, ma a cui auguriamo di continuare a crescere.

D: Partiamo da dove tutto è cominciato: l’innamoramento verso questo mondo…

«All’età di cinque anni, durante le elementari, con la r moscia presentavo la recita di Natale a tutti i genitori. Lì si è accesa la fiamma».

Marco Bonadei Angelo Di Genio
“Morte di un commesso viaggiatore”

D: Ti sei diplomato allo Stabile di Torino, cosa ti porti di quel momento di formazione?

«Innanzitutto tre anni in stretta condivisione con un gruppo di ‘pazzi’ come me, per passare tre anni della propria vita a fare l’attore, a vivere e fare tutto insieme. Questo è l’aspetto più importante di un’Accademia. Essendo molto curioso spesso assistevo ad alcune lezioni al Piccolo dove erano stati ammesse persone che conoscevo; con lo Stabile di Genova ci sono cresciuto essendo originario di Genova, Marco Sciaccaluga mi spingeva tantissimo a fare provini e a non mollare».

D: Qual è il tuo rapporto coi maestri?

«Io con l’Elfo sto lavorando da undici anni regolarmente, sto costruendo un rapporto tale per cui la mia vita si sta sempre più andando a legare all’Elfo Puccini. Per me Elio De Capitani è il mio maestro».

Marco Bonadei Elfo Puccini
“Nel guscio”

D: Hai fatto, come tutti durante il periodo di formazione, dei laboratori e, in fondo, se sei quello che sei è dovuto anche a quegli incontri..

«È dovuto a tutto, anche se prevalentemente a dove e come siamo nati e dove siamo cresciuti nei primi mesi di vita. Se sono quello che sono lo devo a mia nonna e a mia madre che sono state le mie maestre di vita, di come ci muoviamo nella società e sul lavoro. Poi sicuramente la mia professione l’ho imparata facendo la scuola, lavorando tanti anni con un regista e con un teatro, facendo esperienze diverse, l’ho appreso dai miei colleghi, dagli spettacoli che ho visto, dalle esperienze sul palco e sulla mia stessa pelle nel rapporto con gli spettatori. L’ho imparata realizzando “Il menù della poesia” e la Commedia dell’Arte per strada e anche chiudendomi dentro i teatri parrocchiali affittandoli coi miei soldi quando avevo dai quattordici ai sedici anni, dirigendo altre persone e dando vita a rappresentazioni in cui investivo del denaro io in prima persona. Così come ho assorbito questo lavoro dalla mia compagna con cui collaboro, dai miei più cari amici che sono pure colleghi – da Vincenzo ad Angelo Di Genio e Camilla Semino Favro -, andando indietro nel tempo Elio D’Alessandro, Raffaele Musella, Marco Imparato, Giovanni Anzaldo, Celeste Gugliandro e Francesca Turrini e ancora, scavando nella memoria, Francesco Deri, Alessandro Marini. È un magma costituito da tante cose e volti, che confluiscono in un’arte fatta di corpo, anima, emozioni, pensiero, studio, fantasia e ovviamente della tua persona.
Se penso alla mia comicità devo dire che l’ho assorbita da papà. Maestri sono stati i primi attori di cinema e teatro che ho seguito con assiduità come Dario Fo, Gianmaria Volonté, Al Pacino».

Chi è Marco Bonadei oggi?


D:
Oggi, dopo anche ciò che hai detto in merito alle conseguenze del covid sul set di “Comedians”, come ti definiresti sul piano umano e artistico?

«Arte e vita si fondono nella mia esistenza, ad oggi avviene con naturalezza; non ne sento il peso, ma la gioia. Io chi sono? Di base sono una persona felice e posso dire, citando una grande maestra in questo senso – mi riferisco alla grande Anna Magnani: “Sono tutte le donne e gli uomini che posso interpretare”.
Mi fa piacere condividere questo estratto: “Proserpina mi vuole nel suo regno, è ora di partire, è ora di lasciare questo teatro d’immagini che chiamiamo vita, sapesse le cose che ho visto con gli occhiali dell’anima, ho visto i contrafforti di Orione, lassù nello spazio infinito, ho camminato con questi piedi terrestri sulla Croce el Sud, ho attraversato notti infinite come una cometa lucente, gli spazi interstellari dell’immaginazione, la voluttà e la paura, e sono stato uomo, donna, vecchio, bambina, sono stato la folla dei grandi boulevards delle capitali dell’Occidente, sono stato il placido Buddha dell’Oriente del quale invidiamo la calma e la saggezza, sono stato me stesso e gli altri, tutti gli altri che potevo essere, ho conosciuto onori e disonori, entusiasmi e sfinimenti, ho attraversato fiumi e impervie montagne, ho guardato placide greggi e ho ricevuto sul capo il sole e la pioggia, sono stato femmina in calore, sono stato il gatto che gioca per strada, sono stato sole e luna, e tutto perché la vita non basta” da “Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa” di Antonio Tabucchi».

D: Fino a questo momento hai avuto poche esperienze al di là del teatro, ti sei posto la domanda su come abbattere certi schemi mentali di casting e addetti ai lavori, arrivando magari a realizzare un progetto come “Comedians” dove tutti e sei siete co-protagonisti?

«Alcuni anni fa sono stato molto male facendo il mio mestiere come attore e mi sono chiesto perché non avevo più la spinta che aveva generato tutto questo. Ti ritrovi a ‘fare la fame’ (col teatro in particolare, fino a quando non si arriva a una certa stabilità e continuità, nda) e sei costantemente giudicato da te stesso e dagli altri. Di fronte a questo mi sono trovato in crisi e mi sono chiesto cosa volessi davvero: facendo un esame di coscienza e di quella che era la mia condizione lavorativa in quel momento, ho compreso che non amavo lavorare in certi ambiti per cui se arrivavano proposte da lì, rispondevo no grazie; la mia agenzia di allora non mi dava quello che desideravo dal cinema e dalla tv perciò ho deciso di non inseguire.

Ho fatto un anno di disoccupazione, dove, parallelamente ho realizzato un progetto di Chiara con cui ho condiviso la regia e progetti che sentivo che mi appartenevano. Ho alzato la cornetta in quel famoso momento chiamando l’Elfo, con cui ho un rapporto di stima e collaborazione onesta, esprimendo la mia disponibilità a esserci.
A un tratto mi son detto: ho il sogno della Settima Arte, ma se le cose non vanno, forse non è la strada, porta solo malessere. Quando dovrà essere mi cercheranno loro e così è avvenuto dopo due anni con la chiamata di Salvatores».

“The History Boys” dell’Elfo Puccini


D:
Concludiamo con uno spettacolo che è valso il Premio Ubu under30 a tutta la compagnia di giovani di cui facevi parte, “The History Boys”…

«In questi giorni ho avuto una sensazione: sono passati dieci anni da allora e ci siamo ritrovati in un altro ‘History Boys’ ma al cinema e adesso si apre una nuova era, quella dei quarantenni».

Marco Bonadei The History Boys
“The History Boys”

…potremmo dire suggellata dalla fondazione della vostra compagnia Marco.

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