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Artisticamente Magazine

“La fine del mondo”: il privato rilancia domande universali

“La fine del mondo”: il privato rilancia domande universali

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«Non c’è molto tempo. È già tardi»… esordisce Luca (Umberto Terruso) rivolgendosi direttamente agli spettatori e poco dopo si sente un suono – apparentemente partito inavvertitamente – che richiama quello dei game quando si aziona il timing. Questo è l’incipit de “La fine del mondo”, scritto da Fabrizio Sinisi e diretto da Claudio Autelli: «è una favola buona per persone molto ingenue e dire che qui c’erano le migliori premesse: quattro persone per bene, colte, rispettabili, […] calpestano qualsiasi spirito comunitario, ma non per cattiveria, per pigrizia» aggiunge Luca in quello che potrebbe essere un prologo con cui ci si addentra sempre più nella pièce.
«Due sono i livelli di azione», spiega il regista: «Quello dell’invito di Atena (Anahi Traversi) a festeggiare sulla sua nave la fine del mondo e quello dello spettacolo che devono mettere in scena gli attori invitati alla serata. Due sono i piani tematici. Quello ‘macro’, legato al surriscaldamento globale e alle responsabilità dell’uomo nei confronti della propria annunciata fine, e quello ‘micro’, legato alle storie private dei protagonisti. Nell’avvicinarsi all’ora x, tutti i piani cominciano a collassare uno sull’altro, dando luogo a un coro composto da una generazione che sembra essere stata lasciata dalla generazione precedente, senza i giusti strumenti per interpretare il drammatico presente. Una generazione che si trova, forse, per la prima volta a interrogarsi sulla possibilità di una prossima propria estinzione. Il palco del ‘galà’ di Atena accoglie l’emergere delle contraddizioni tra i fratelli, li vede fronteggiarsi uno davanti all’altro, davanti al pubblico invitato al grande evento. Ci guida in un gioco che cerca il cortocircuito continuo tra la realtà del palco e la non più così tanto distopica situazione della festa per l’ultimo giorno della città di Venezia».
Partendo dalla drammaturgia fino alla messa in scena è molto interessante constatare come i livelli di azione si intreccino e come il tema della catastrofe ecologica sia stata inserito utilizzando la direzione dell’incontro-scontro, in particolare, tra due sorelle diverse: Dora (Alice Spisa), l’attrice, e Atena. Dall’altro lato Atena col suo «nome greco della ragione», la quale non si è mai vergognata di essere ‘diversa’ da suo padre e sua sorella, anzi erano loro a farla sentire tale perché non voleva mangiare come loro o ‘semplicemente’ perché non era e non è allegra come loro. Attenta ai cambiamenti climatici, ha condotto le proprie battaglie, fino a fondare una Ong. Come spesso avviene nella finzione ‘bisogna esasperare’ e ascoltiamo che vorrebbe anche che ci fosse l’estinzione per poi – si spera – ricominciare, ma non fatichiamo neanche a credere che possa essere un’idea di alcuni.
Parallelamente assistiamo a due fratelli opposti: Luca, attore, colui che dice «se tutti fanno così perché io devo essere l’unico a comportarmi in modo diverso?» e che ha sempre compiuto ciò che andava fatto, almeno a partire dai ‘dettami’ di mamma e papà. Dietro il ‘personaggio’ della crew, che inizialmente sembra che stia nell’angolo destro del palco come tecnico, si rivela suo fratello Diego (Angelo Tronca), considerato sin da piccolo «pazzo». «Mia madre pensò» rivela Luca «questo mondo non è adatto per amare il mio bambino e, quindi, lo chiuse in casa e lo amò solo lei» fino a quando divenne troppo ‘un peso’ e fu portato in un istituto specializzato. «Non ci rendiamo conto di quanto il nostro sistema di vita si basi sulla fiducia», afferma con lucidità chi era – ed è ritenuto – come ‘diverso’ e che ha occhi per vedere.
La qualità della compagnia che porta in scena “La fine del mondo” è alta, con interpreti ben affiatati tra loro. Ci sentiamo di segnalare in particolare due momenti d’impatto sia a livello scenico che emotivo: l’exploit di Diego con l’acquario in cui inserisce delle meduse (finte) e l’incontro-scontro con suo fratello, giocato tra il palco, la platea e la galleria della Sala AcomeA, con il primo che stimola colui che ha detto (forse) la verità di ciò che prova agli spettatori, a dirla anche a lui.
A questo aggiungiamo che mentre Atena accoglie alla sua festa, scorrono video (curati da Chiara Caliò) del «reale che ha vinto» e assistiamo alla terra vista dall’esterno completamente infuocata per via del riscaldamento globale, all’abbattimento degli alberi, a petrolifere, a discariche di rifiuti così come all’ammasso di plastica, a uragani devastanti e tanto altro ancora… immagini che abbiamo visto ai tg, ma che sembrano ancora non scuoterci concretamente.
«Nell’imperturbabilità del mondo all’allarme ambientale, possiamo scorgere i frammenti dell’immenso, spaccato, rapporto padri-figli: sono stati i padri, simbolicamente, ad assentarsi dalla responsabilità della ‘buona tenuta del mondo’», ha dichiarato il drammaturgo continuando «E i figli, a loro volta non innocenti, rimangono colpevoli non spostandosi dalla concezione dei padri, ma cercando anzi di imitarli, di riprendere i loro stessi percorsi e i loro stessi desideri. La loro battaglia – nevrotica, incapace, scomposta – è una guerra di figli lasciati soli dai padri in una causa forse già persa, bambini lasciati soli in una casa in fiamme. La generazione dei padri non andrà quindi ‘continuata’, ma rimessa radicalmente in discussione – combattuta, superata, costruendo fin da subito, rispetto ad essa, una storia alternativa e un destino possibilmente diverso. I padri possono e devono essere combattuti: non fuori, ma dentro di noi».
Fedele alla propria missione, il teatro non dà risposte, ma rilancia domande e “La fine del mondo”, affrontando diversi registri (da quello più leggero a quello che ci fa sentire scomodi sulla poltrona, passando per il paradosso), ne rilancia moltissime, a partire dalla verità che una questione privata può diventare universale. Ma c’è ancora tempo?
«Noi dobbiamo accettare 
il peso di questo tempo arduo. 
Dire non quello che conviene, 
ma quello che sentiamo veramente» sono i versi con cui Edgar conclude il “Re Lear” di Shakespeare.
Lo spettacolo (produzione Teatro Franco Parenti, Centro Teatrale Bresciano, LAB121 con il sostegno di Funder35, Fondazione Cariplo e ZonaK) è in programma al Parenti di Milano fino al 29 maggio, e, per ora, è prevista un’altra data, il 31 maggio, al Teatro Foce – LAC Lugano.

Ph cover Franco Rabino

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