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Artisticamente Magazine

Michele Di Mauro: «Collocare la scrittura in luoghi dell’anima». “Concerto per Vitaliano” in prima assoluta al Ginesio Fest 2022

Michele Di Mauro: «Collocare la scrittura in luoghi dell’anima». “Concerto per Vitaliano” in prima assoluta al Ginesio Fest 2022

Tempo di lettura: 8 minuti

 

Alla sua III edizione il Ginesio Fest ha deciso di mettersi ulteriormente in gioco dando vita alla sua prima produzione: “Concerto per Vitaliano” per la regia di MICHELE DI MAURO, anche in scena e le musiche di Franco Visioli.
«Una sola scrittura. Acuta. Secca. Tagliente.
Corrosiva. Sostanziale. Concreta. Tragica.
Uno sguardo cattivo e irriverente. Una lingua che sfiora i maestri dimenticandoli. Che si sporca del quotidiano ‘sopravvivere’ ma ne cerca, sostanzialmente, la via d’uscita. L’unica possibile, per Vitaliano.
L’ultimo ciak
è irripetibile» ha dichiarato Di Mauro.

Abbiamo voluto approfondire con l’artista il lavoro compiuto sui due monologhi (“Oscillazioni”, 1. rappr. 2006 e “Solo RH”, 1. rappr. 2007) scritti dal regista, attore, drammaturgo e adattatore vicentino Vitaliano Trevisan (prematuramente scomparso), con l’augurio più sentito che questo progetto possa continuare a vivere – e per molto – toccando le piazze più disparate.

Michele Di Mauro: Concerto per Vitaliano


D:
 Michele, nel corso della cerimonia inaugurale, ha specificato di aver compiuto un tipo di lavoro prima a distanza con Franco Visioli, a cui è seguito un periodo di pochi giorni di prove dal vivo. Mi piacerebbe approfondire questo punto.

«Quando abbiamo deciso con Leonardo (intende Lidi, il direttore artistico, nda) di lavorare su due monologhi di Vitaliano, la prima cosa che ho fatto è stata quella di sentire Franco, il quale è stato un altro ‘elemento’ messo sulla carta dal festival. Loro hanno ipotizzato che potessimo lavorare insieme – in passato ci eravamo incrociati già sul campo, una volta con Castri, una con Latella. Era essenziale che gli piacesse l’idea, di conseguenza gli abbiamo spedito i testi. Prima ancora di capire che cosa potesse essere, ci siamo interrogati sulle nostre sensazioni personali; d’altronde a me toccava tirare le fila in merito alla gestione del lavoro sul testo e conseguentemente sulla musica. Ho dato tutte quelle che per me erano le linee su cui lui avrebbe potuto fare dei pensieri, ovviamente rispetto alla scrittura e all’ipotesi di poterla collocare in luoghi dell’anima che potessero diventare luoghi veri e propri, non avendo nessuna intenzione di metterlo in scena. Ci siamo scambiati informazioni e desideri, subito dopo Franco mi ha inviato delle composizioni da ascoltare e io la lettura integrale dei due testi così ha potuto sentire come io pensavo che potesse essere in una versione di partenza. Già nella seconda versione, mi era venuto in mente questo dialetto vicentino per il secondo testo, che faceva la differenza in maniera sostanziale. Siamo arrivati a San Ginesio, dove abbiamo avuto in totale quattro giorni di tempo, con due composizioni già quasi complete dal punto di vista musicale e su quelle abbiamo cominciato a lavorare insieme, però dal vivo, col supporto anche dell’impianto e sentendo la voce al microfono. Siamo ancora intenzionati a continuare il lavoro».

Michele Di Mauro Concerto per Vitaliano intervista
in piedi Franco Visioli

D: Ha parlato di concerto: non sono solo le musiche elaborate da Visioli che restituiscono questa percezione, ma anche come lei ha lavorato sulla parola dei due monologhi, che riesce a diventare concerto in un continuo alti e bassi, anche di ritmo, all’interno dello stesso testo. Prima lei parlava di anima, pensando a “Solo RH”, ci sono parole così sofferte che metteno a nudo la persona ‘sopravvissuta’ e, al contempo, quanto alla fine bisogna fare i conti con la propria identità.

«Leggere non cambia tanto il rapporto con l’approfondimento da compiere rispetto alle parole, ai significati, al bello e al brutto che contengono. Non si può pensare che questo tipo di spettacolo non contenga inevitabilmente anche l’ipotesi della messa in scena. Bisogna calarsi completamente, è un rapporto fisico: nel secondo monologo si vede ancora meglio. Abbiamo scelto di fare due proposte anche sceniche nonostante si trattasse di una lettura: la prima da seduto, con solo due appuntamenti in cui mi alzo; la seconda in piedi, liberando un po’ il personaggio, sentendolo anche più fisicamente. Di qui la decisione di avere due abiti così da trasmettere un segno più evidente al pubblico di queste due persone con cui avremmo avuto a che fare. Stando dentro gli abiti, inevitabilmente emergono altre caratteristiche specifiche dei personaggi e un paio di occhiali o un cappello, in questo tipo di lavoro, diventano due elementi che costituiscono e fanno delle differenze molto importanti».

D: Insieme all’ambiente sonoro, compresa la scelta del tipo di microfono…

«Viste le competenze di Franco, mi ha proposto due ipotesi e, alla fine, abbiamo scelto questo (AKG D12 VR) che è il top dal punto di vista tecnico per questo genere di proposta. Tutto il resto lo devi fare tu perché un microfono ha un campo d’azione e solo se tu conosci bene, puoi decidere continuamente in che zona metterti per fare i conti con ciò che uscirà. Questo tipo di approccio ognuno lo fa per sé perché nessuno te lo insegna, purtroppo».

D: In merito a “Solo RH”, in questo vortice in cui ci porta, mi sorge spontaneo domandarle cosa ha vissuto lei artisticamente, toccando il fondo, impastando le mani in quest’opera.

«RH continuano a essere le iniziali di Roberto Herlitzka per cui è stato pensato (lo ha messo in scena durante la rassegna Trend). In questo monologo vedo un racconto che sta più nel cinema e nella letteratura; il secondo sta maggiormente nella realtà e specificatamente nella cronaca. Il gesto di Vitaliano è stato un gesto di cronaca, non di letteratura perciò mi viene più naturale immaginarlo più vicino a “Oscillazioni”».

D: In “Oscillazioni” ci sono quelle domande a cui la nostra società, forse, ci ha abituato a non porcele più perché diamo per scontato, ad esempio, che una persona possa accettare un figlio.

«In linea di massima si dà per scontato, ma le persone che lo fanno e che non pensano che esistano territori in cui questo non è scontato non sono sane. Chi è ‘normale’ sa che mettere al mondo un figlio, in questo momento poi, ha tutta una serie di pensieri obbligati, domande a cui rispondere… non è più il tempo in cui si mette al mondo un figlio e basta o solo per amore. In più l’uomo al centro di questo testo non è uno qualsiasi, va a prostitute, va in giro tutta la notte e chissà cosa fa nella vita… bisogna fare i conti con tutto questo prima di dirgli che aspetta un figlio o di farsi mettere incinta. Chissà chi era anche lei… Ma non è un giudizio sulle persone, è uno sguardo su certe realtà, di provincia – è indicato molto anche nella mia visione – che vivono dentro la cronaca nera e affollano la tv, i ritagli di giornale. Oggi sarebbe ancora peggio con la rete e i social».

D: È molto forte quando dice:
«Per amore
Credo
Non significa nulla
E poi volevo una moglie
non una madre
Ti addormenti di fianco a una moglie e ti svegli di fianco a una madre
la verità è questa».

«Qui è proprio Trevisan, non il personaggio. La cosa bella di fare monologhi scritti da grandi scrittori è riuscire a distinguere, all’ interno del flusso, il personaggio dall’autore.
Le parole hanno sempre un riverbero fisico; non ci sono tanti esempi di interpreti che hanno quel tipo di pensiero su cosa sia fare una lettura, dove è evidente che ci sono i riflessi, nel corpo, di quello che è la parola e il senso. I tanti significati sono in tutto il corpo, non solo nella bocca o nella testa – in tal senso fa parte della comunicazione mettersi completamente a disposizione del testo».

Michele Di Mauro Concerto per Vitaliano intervista
“Oscillazioni”

D: Prima accennava al conoscere così bene l’autore tanto da distinguerlo. Lei è riuscito in questo, qual è stato lo strumento che l’ha supportata?

«Con una lettura molto più approfondita e meticolosa del testo, ci si rende conto dove l’autore si mette in primo piano e dove si toglie e Trevisan lo fa continuamente perché certe cose non sono neanche plausibili secondo un personaggio di quel genere. Senti che, ogni tanto, non è lui a parlare, ma il drammaturgo che, attraverso di lui, afferma delle cose».

D: A proposito delle oscillazioni, cito:
«E poi morire non è neanche la cosa peggiore Restare in vita è molto peggio
Uno resta in vita
invecchia
invecchia
A un certo punto
crede che l’unica cosa che gli è rimasta al mondo siano i figli
e così si distrae.
I figli non aspettano altro
E si prendono tutto».
Torna la questione del lutto, della morte e della scelta anche di vivere la vita come sopravvivenza o di viverla fino in fondo. Analizzare dei testi così che tipo di domande porta a porsi sia dal punto di vista umano che dell’artista?

«Non ci sono interrogativi mai sentiti. Qui la questione è: morire è un attimo, vivere è molto di più… questa è l’emozione davanti a cui lui ti pone perciò scrive non ho paura della morte soprattutto se decidi tu quando farla succedere perché, volendo, è un attimo. È impressionante anche vivere bene tutta una vita. Si tratta di un pensiero intellettuale, che non fai ogni giorno, si verifica più quando ragioni su che cosa sia un pensiero sulla vita e la morte. Normalmente tu vivi e basta, è come fare un discorso sull’amore, che più o meno diventa importante prima e dopo durante può essere meraviglioso, difficoltoso, però, fino a quando non si sta con una persona veramente o quando si viene abbandonati… solo prima che cominci e finisca ha qualcosa di definitivo, il durante non si è ancora riusciti a viverlo davvero, è un po’ così che sono i giorni che passano così come le vite».

D: Forse manca quella giusta distanza a cui fa riferimento sempre lui?

«L’equilibrio è quello lì, oscillare vuol dire cercare un equilibrio, anche se è sempre un continuo andare su e giù puoi andare su e giù».

Michele Di Mauro Concerto per Vitaliano intervista
“Solo RH”

D: Trevisan è molto diretto pure rispetto al fatto che la gente non voglia sentire parlare di morte e mi ha colpita un altro punto in particolare:
«Ho sempre avuto un debole per le parole
Non tutte
Ma quelle dimenticate
abbandonate».

«Subito dopo, però, afferma: “Le parole non servono a un c…o”».

D: Si contraddice… a proposito delle oscillazioni

«L’autore, a un tratto, può concedersi il lusso di dirlo, è un pensiero da intellettuale, un uomo tranquillo non direbbe mai una cosa così. Lo può fare chi ha un senso alto della scrittura. Ed è vero che le parole sono importanti, ma è altrettanto vero che i fatti lo sono di più».

Michele Di Mauro Concerto per Vitaliano
“Oscillazioni”

D: Lo sta dicendo da attore?

«Da uomo. Puoi dirmi tutto quello che vuoi, che mi vuoi bene, ec.., ma se io ho bisogno di te in qualche modo per una cosa, tu devi farla, non puoi dirmi che la farai. I fatti contano perché sono materia; le parole lo sono solo per l’arte. Ogni tanto, ascoltare qualcuno, è un fatto, ma siamo in una dimensione che non corrisponde alla vita quotidiana».

D: «Questa mania di raccontare
di narrare
di interpretare
di capire
di nominare
mentre i fatti vanno a farsi fottere
[…]
I fatti». Dovrebbe essere più Trevisan anche qui..

«Il fatto è tragedia ma anche festa. La mia ipotesi, che Franco ha accettato e compreso, è che il secondo monologo fosse un luogo molto più popolare e che su questo sguardo sulla ‘festa della morte’ ci si potesse arrivare in un modo alla Tarantino. “Solo RH” ho la sensazione che si trovi tra Cronenberg e Visconti».

D: Quali sono le prospettive di questo lavoro?

«Avrei voglia che il percorso continuasse sia perché mettersi a lavorare su un materiale del genere per un’unica replica all’interno del festival è stato uno stimolo, ma sarebbe un peccato se terminasse qui e poi ciò che è emerso ha bisogno probabilmente di un tempo superiore per quello che penso possa essere questo spettacolo».

Michele Di Mauro Concerto per Vitaliano
Il momento degli applausi alla fine di “Concerto per Vitaliano”

D: Come questi due monologhi di Trevisan possono inserirsi all’interno di questo percorso di ‘ricostruzione’ che si vuole realizzare tramite il Ginesio Fest e interrogare sulla ricostruzione – o sulla decostruzione – dell’essere umano?

«La ricostruzione più grande che serve a un luogo come San Ginesio e a tutti i luoghi che sono stati colpiti da terremoti dovrebbe stare più nei fatti e non nei pensieri. Augurerei che mettessero davanti la ricostruzione più concreta, anche perché se arriva quest’ultima, quella dell’individuo può attecchire più facilmente.
Per quanto mi riguarda penso che tutto ciò che può essere fatto in forma in forma laboratoriale per formazione e informazione possa appartenere a quella che è un’ipotesi di ricostruzione: da una parte bisogna far vedere spettacoli, performance; dall’altra vedo che il lavoro permanente sul luogo, di condivisione sia fondamentale – questo vale dovunque, ancor più in un luogo che ha subito un azzeramento in qualche modo naturale».

 

Ph Ester Rieti

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