Miguel Gobbo Diaz si è distinto subito per un primato che non potrà togliergli nessuno: è il primo ispettore nero della fiction nostrana. In questi giorni è in onda (in prima serata su Rai1) con la seconda stagione di “Nero a metà”, in cui è co-protagonista insieme a Claudio Amendola, ed è proprio da questo progetto che siamo partiti per poi approfondire la sua formazione e gli impegni futuri.
Nero a metà 2
D: Cosa pensi di aver fornito tu come sfumature rispetto alla sceneggiatura scritta?
Malik Soprani è messo a dura prova rispetto a ciò che è accaduto con Olga (Caterina Shulha) e con Alba (Rosa Diletta Rossi). In questi nuovi episodi è molto teso perché ha pensieri e situazioni in ballo e, al contempo, deve anche mantenere il controllo. È molto diverso rispetto alla prima stagione, non è precipitoso come quando ha fatto arrestare Carlo Guerrieri (Amendola); adesso cerca di temporeggiare un pochino di più, anche se lui è sempre molto diretto. Senz’altro prova a dare più fiducia a ciò che dice Carlo, seppur controvoglia, e aspetta il momento giusto per comprendere ciò che sta accadendo. Ho cercato di conferire un’umanità a Malik per quanto sia in difficoltà. Sono contento di come sia diventato e di come si sia sviluppato nella seconda stagione. Vediamo cosa succederà.
D: Ti sei relazionato con un attore come Claudio Amendola, il quale ha un background incredibile, e con un regista di livello come Marco Pontecorvo. Cosa pensi di aver assorbito da loro?
Tantissimo. Impari qualcosa di nuovo tutti i giorni quando ti rapporti con chi fa serialità da diverso tempo; ho imparato pure come ci si comporta con le persone che lavorano per te sul set. Questa fiction è stata una palestra rispetto al rapporto con questo lavoro.
Avevo diverse conoscenze acquisite durante il Centro Sperimentale, poi, quando sei sul set, è tutto diverso perché c’è da portare a casa la giornata con il girato previsto. Claudio e tutti i colleghi mi hanno aiutato a migliorare. Marco Pontecorvo è colui che mi ha voluto e lo ringrazierò sempre per questa possibilità che mi ha dato e mi auguro di aver ripagato la fiducia.
D: Com’è avvenuta la scelta?
Ho affrontato quattro provini: i primi due sono avvenuti con la casting, gli altri due con Pontecorvo. Ammetto che fossi molto agitato. Mi forniva le indicazioni passo passo ed era chiaro ciò che volesse ottenere per cui ho tentato di raggiungere quello che mi veniva chiesta. Quando prepari un provino, è importante avere la memoria, capire dove sei e naturalmente essere versatile quando il regista ti richiede un cambiamento perché, se tu sei versatile in quello che fai, allora puoi mutarlo.
Miguel Gobbo Diaz: la formazione
D: Il CSC ti ha preparato in questa direzione?
Mi ha fornito tantissime nozioni, abbiamo provato diversi metodi di recitazione. Ritengo sia importante non fare un metodo, ma provarne vari per poi acquisire quello che ti serve perché, col tempo, crei un tuo metodo lavorativo per raggiungere la ricerca del personaggio.
Al CSC abbiamo preso consapevolezza di noi stessi in quanto attori; quando esci ti sembra di non sapere più dove sei perché il lavoro è sempre diverso. La scuola ci tutela, si prende cura di te, dà la possibilità di sbagliare e imparare; il lavoro è tutta un’altra cosa. Al CSC abbiamo avuto l’opportunità di metterci in gioco in continuazione, apprendere diversi metodi e sperimentare tra compagni.
D: Spesso si dice che scuole e accademie preparino molto bene sul piano teorico, ma non, ad esempio, ai provini. Qual è stata la tua percezione?
Il primo anno del CSC avviene uno studio di costruzione e distruzione della persona, nel senso che tutto il lavoro è teso a ‘ristrutturarti’ e scioglierti. In classe eravamo tutti diversi, però, quando ci ritrovavamo a lavorare, eravamo tutti uniti e abbiamo realizzato delle cose incredibili [si avverte l’entusiasmo nel rievocare quei momenti]. Il primo anno abbiamo dato vita a un bellissimo spettacolo, intitolato “Cinemando”, mettendo insieme due monologhi – femminile e maschile – con le frasi più belle e importanti della storia del cinema – dal cinema muto ai giorni nostri. Durava un’ora e ci siamo divertiti anche nel montarlo. Eravamo un gruppo costituito da otto ragazzi e otto ragazze. Quello che mi inorgoglisce è che non era mai capitato che la classe del primo anno del Centro realizzasse una prova aperta (era il 2012) – essendo il primo anno più delicato. Certamente c’è stata anche fiducia da parte degli insegnanti. Noto che molti studenti, in questo momento, esprimono una presunzione e onestamente non so da dove derivi perché, almeno quando ero allievo io, non avevo la presunzione di sapere come si dovesse comportare l’insegnante. Bisogna mettersi nella situazione di capire che tu hai deciso di frequentare quella scuola, loro ti hanno scelto, ma bisogna adattarsi a ciò che succede. Certo, è logico che se ci sono delle cose che non vanno bisogna lamentarsi. In virtù di ciò che ho vissuto, ritengo che sia tutto soggettivo e dipende da come reagisci.
D: Quindi tutti i laboratori intensivi che hai seguito si sono tenuti durante gli anni del CSC?
In realtà quello di biomeccanica, tenuto da Roberto Romei, l’ho seguito alla Nuct (“Scuola Internazionale di Cinema e Televisione”, che ha seguito prima del CSC, nda) e devo dire che anche in quel caso sono stati due anni stupendi. Da lì ho cominciato la costruzione di Miguel come attore. Ho seguito recitazione con Danny Lemmo, un insegnante incredibile, molti non lo conoscono, è un membro onorario a vita dell’Actors Studio di New York che può darti tanto.
D: Se dovessi definire qual è il tuo metodo oggi?
Parto dal cercare di capire che tipo di persona è il mio personaggio, dovendomi mettere nei suoi panni. Naturalmente rifletto su cosa abbiamo in comune, a cui si aggiungono creatività e immaginazione. Sono tutti elementi su cui, fino all’arrivo sul set, continui a lavorare poiché, parallelamente il personaggio matura e cresce piano piano dentro di te.
Miguel Gobbo Diaz: gli inizi e l’importanza del teatro
D: Sul piano formativo mi incuriosiva il laboratorio multiculturale a Vicenza (dov’è cresciuto dall’età di tre anni) con Theama Teatro…
Ho cominciato proprio dai tempi della scuola perché loro si sono sempre occupati dei corsi di recitazione nelle scuole. Ovviamente, quando hai 15/16 anni, non hai mai la percezione di ciò che fai realmente; però sono convinto che sarebbe importante inserire il teatro nella didattica. In Italia dovrebbero investire molto di più nella cultura del teatro, rendendola una materia obbligatoria. I giovani di oggi, a volte, sono molto più arroganti, dovrebbero mettersi più in discussione e col teatro le persone si aprono maggiormente e soprattutto trovano anche un ridimensionamento.
D: Ti andrebbe di condividere con noi alcune esperienze teatrali come, ad esempio, “Italiargentina”?
Anche questo è uno spettacolo nato durante il periodo al CSC. Ci siamo organizzati come classe e l’abbiamo portato in scena al teatro comunale di Sulmona Maria Canaglia, che contiene ben 700 posti, riempiendolo completamente. Dei desaparecidos non si parla mai abbastanza e quello fu un modo per parlarne attraverso la vicenda di Enrico Calamai, il quale salvò delle persone che rischiavano di morire o di essere rapite. Lui le nascondeva in ambasciata. Entravano di notte e con queste Alfa Romeo nere, senza luci, prendevano il ragazzo di turno perché era scomodo politicamente, magari davanti ai genitori, che il più delle volte non lo rivedevano più. Abbiamo avuto modo di conoscere dei ragazzi che, dopo anni, si sono ritrovati… è stata un’emozione fortissima. Per quanto riguarda altri lavori, nel 2016 ho realizzato “Il Calapranzi” di Pinter con il mio migliore amico Giorgio Cantarini.
Nel febbraio 2019 sono stato in scena con “Fuorigioco – The Pass” di John Donnelly al Piccolo Eliseo, per la regia di Maurizio Mauro Pepe.
D: Vorresti tornare prossimamente sul palcoscenico?
Sì, sempre diretto da Pepe, vorrei portare un monologo che mi ha colpito tanto, di drammaturgia contemporanea, scritto nel 2005, ma attualissimo.
D: Stai lasciando il segno nella storia della fiction Rai, quanti muri mentali hai dovuto abbattere nel tempo? Combatti continuamente contro i muri mentali, non solo i tuoi [si sente quanto sia una persona riflessiva].
Quando entrai al CSC mi è stato detto che non ero utilizzabile nel mercato, però io me ne sono fregato, ho provato lo stesso e ho fatto tutto quello che potevo per ottenere quello che desideravo. Dieci anni fa avevo vent’anni e non c’erano storie per ragazzi di colore. Con “Nero a metà” è uscita la prima serie con un attore nero che interpreta un poliziotto ed è una cosa ‘strana’, mai accaduta. Sta per uscire una serie Netflix con un cast costituito quasi completamente da attori neri, tre sono gli interpreti bianchi… però va detto che siamo nel 2020. Ci viene data una maggiore possibilità di provini e di ruoli che vanno al di là di determinati stereotipi. Oramai le seconde generazioni esistono, sono cresciuto a Vicenza, potevo fare l’attore così come avrei potuto decidere di fare l’avvocato. È importante che raccontiamo tutto questo così come è fondamentale che le persone ascoltino e che venga narrato quello che sta accadendo veramente.
D: Come mai, secondo te, c’è voluto così tanto?
Rispetto all’Inghilterra e all’America siamo molto indietro dal punto di vista storico, abbiamo tanta strada da fare ancora. Forse tra trent’anni le cose saranno diverse. Ad esempio, quando sono entrato io al CSC usciva un nero; poi mi sono diplomato io ed è entrato al primo anno un altro ragazzo di colore.
Miguel Gobbo Diaz: prossimi progetti
D: C’è qualcosa che puoi anticiparci del tuo Rico, co-protagonista in “Zero”?
Posso dire che è un personaggio carismatico e di peso. Sono curioso di capire come verrà accolto dagli spettatori. La serie dovrebbe uscire nel 2021.
D: Cosa ti ha colpito di questa proposta?
Sono contento che Netflix abbia investito sulle seconde generazioni, con un progetto che nasce da un ragazzo cresciuto anche lui in Italia.
D: Qual è la prossima sfida professionale e umana che ti poni?
Sarò coinvolto in un progetto importante per Emergency e ne sono molto contento. Mi piacerebbe prendere parte a un film, dove puoi dare tanto e creare qualcosa in un tot di tempo diverso da una serie. Naturalmente desidero continuare questo percorso come sto facendo, sempre ragionando con intelligenza su quello che accade intorno a noi perché è importante non farsi prendere dal panico né dall’istinto.
Ph cover Francesco Ormando