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Petra Valentini: «Il teatro è una forma di salvezza». Premio San Ginesio ‘All’Arte dell’Attore’ 2022

Petra Valentini: «Il teatro è una forma di salvezza». Premio San Ginesio ‘All’Arte dell’Attore’ 2022

Tempo di lettura: 7 minuti

 

PETRA VALENTINI è stata scelta dalla giuria presieduta da Remo Girone e composta da Rodolfo di Giammarco, Lucia Mascino, Francesca Merloni e Giampiero Solari per il Premio San Ginesio all’‘Arte dell’Attore’.

Premio San Ginesio all’Arte dell’Attore 2022 a Petra Valentini

«Bisognerebbe forse scomodare una cultura del futuro analizzando il passato come in Asimov, o magari una macchina del tempo come in Wells, per dare le coordinate artistiche di Petra Valentini, Premio San Ginesio all’Arte dell’Attore 2022, visto che ha affrontato “Divine parole” di Valle Inclan con la regia di Damiano Michieletto, e un Pirandello diretto da Federico Tiezzi, prima di trascorrere 3 stagioni e accumulare 250 repliche con “Elvira” in scena con Toni Servillo partner e regista nel recupero delle lezioni teatrali di Louis Jouvet del 1940 e della drammatizzazione di Strehler con Lazzarini del 1986, per poi addentrarsi nelle modalità performative, di riscrittura e di tracciati oltre i canoni della compagnia di Liv Ferracchiati a sua volta autore-allestitore-cointerprete, fin qui ne “La tragedia è finita, Platonov” e “Uno spettacolo di fantascienza”. In Petra Valentini riconosciamo una artista capace di mutare epoche, sistemi, profili fisici, capacità espressive come una contemporanea Orlando di Virginia Woolf alle prese con i piani modulari di un teatro che pensa sempre ad assumere nuove forme».

Petra Valentini: intervista sul Ginesio Fest

D: Quale tipo di percezione hai avuto durante la giornata al Ginesio Fest?

«Ho sempre un po’ un pregiudizio rispetto alle serate in cui vengono assegnati dei premi in quanto sono spesso e volentieri abbastanza istituzionali. Questa l’ho trovata una serata molto piacevole, con una scaletta ben pensata, in più io e Christian (La Rosa, nda) ci conosciamo da tanto tempo, lo stimo come attore e l’ho trovato anche giusto in qualità di presentatore. È stata una serata di spettacolo, per tutti, non solo per gli addetti ai lavori; lo stesso brano proposto da Guanciale poteva essere fruito da un pubblico più vasto. Mi ha molto impressionato ciò che ha detto Lino in merito alle impalcature per il terremoto in piazza, l’ho trovato molto toccante».

D: So che hai optato per degli estratti da Jouvet

«Mi era stato chiesto di portare qualcosa sulla figura dell’attore, sul rapporto col proprio mestiere e col personaggio. Jouvet era solito scrivere dei pensieri dopo gli spettacoli e questo scritto mi ha molto colpita perché non si sa a chi si rivolga di preciso, se a un lettore del futuro o se a se stesso, non ha un vero e proprio pubblico perché è una sorta di diario perciò è molto intimo. Questa pagina risale al ’43 – era in Colombia in esilio – e mette nero su bianco le sue percezioni rispetto a quella serata dopo aver fatto spettacolo, di com’è andata e di come il teatro per lui rimanga un mistero. Si interroga sul perché la gente vada a teatro, chi siano quelle persone davanti a lui che lo stanno guardando, con quale sguardo lo facciano e perché, tuttavia, rimangano a guardarlo. A mio parere era calzante anche per ciò che stava accadendo durante la serata finale del Ginesio Fest.
Ho scelto Jouvet perché era una persona che si interrogava costantemente su cosa fosse il teatro, a che cosa servisse e non se le dava delle risposte perché per lui, che faceva davvero teatro, continuava la ricerca e le giornate di appagamento non erano tante in quanto cercava sempre di più e in territori sconosciuti. Nonostante questo proseguiva nel farlo perché il teatro è qualcosa che ti rende vivo, di adrenalinico e questo, per me, è il senso».

D: Qual è stata la tua reazione ascoltando la motivazione, che abbraccia i punti chiave però, allo stesso tempo, ti descrive in alcune sfumature molto precisamente?

«È stato quello che mi auguravo venisse detto. Mi ha toccata molto e mi fa piacere che sia stato notato questo legame – presente proprio nella mia natura – che collega la tradizione del passato con il contemporaneo. Soprattutto dopo aver lavorato tanti anni con Servillo, il ‘rischio’ era quello di rimanere in un territorio un po’ classico, certo sono sempre categorie che lasciano il tempo che trovano – ai suoi inizi Servillo fece un teatro d’avanguardia. L’essermi spinta ad andare anche in altre direzioni come l’incontro con Liv Ferracchiati o altri registi, mantenendo, però, sempre un passaggio fluido – recentemente ho preso parte a “L’Antigone” con Baliani; adesso sto lavorando al nuovo spettacolo di Liv (una scrittura originale tratta da “Hedda Gabler” di Ibsen) e successivamente sarò impegnata con “Anatomia di un suicidio” per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni, un altro linguaggio ancora che sperimenta la drammaturgia contemporanea inglese. Mi piace muovermi indistintamente in diversi tempi e modalità».

Petra Valentini Premio San Ginesio All'Arte dell'Attore 2022

D: Riprendendo un passaggio della motivazione: «In Petra Valentini riconosciamo una artista capace di mutare epoche, sistemi, profili fisici, capacità espressive come una contemporanea Orlando di Virginia Woolf alle prese con i piani modulari di un teatro che pensa sempre ad assumere nuove forme» mi ha trasmesso l’immagine di te rispetto al percorso compiuto fino ad ora. Ti senti questo tipo di ‘Orlando’?

«[Sorride imbarazzandosi perché, come lei stessa ha detto, lei, in quanto Petra, ama scomparire] Come linea guida tengo il fatto di partecipare a un teatro che sia vivo, dove, quella sera, avvenga uno scambio di qualcosa con il pubblico vivente – credo che sia anche questo aspetto che mi attira e attiva del teatro: persone che ti guardano, sono vive e tu le ‘tieni in vita’, le fai emozionare e pensare. In questo maestro è stato anche Servillo, il quale, a suo modo, magari con una forma più classica, aveva in mente di dover catturare l’attenzione, non in modo egocentrico, ma perché si vuole scuotere l’animo di quello spettatore in quel momento. Mi viene sempre in mente questo aneddoto: i miei genitori hanno lavorato per tanti anni in una compagnia di teatro per l’infanzia per cui tanti ragazzi delle scuole si recevano a vedere lo spettacolo. Mia madre si occupava dell’organizzazione per cui quando c’erano queste scolastiche, qualche volta mi ha portata con sé. Anni dopo, quando ormai ero grande, passeggiavamo per la città di Ancona di cui sono originaria, e un ragazzo – ero convinta guardasse me – ha fermato mamma per ringraziarla, dopo tanto tempo si ricordava ancora di quei momenti e gli brillavano gli occhi mentre lo diceva, era vivo ed è questo il mio ‘motore’.
Non mi sento di dire che sono portatrice di una nuova forma, però sicuramente di una forma che, mi auspico, tenga in vita le persone. Credo davvero che il teatro sia una forma di salvezza, l’arte in generale e che se si vedono cose belle, si è portati ad agire per il bello nel corso della propria esistenza. Questo porta avanti la mia professione, anche se non si riesce sempre».

D: Il direttore del Piccolo, Claudio Longhi, ha spiegato che l’aver voluto intitolare la stagione: ‘La misura delle cose’ sia derivato dal claim (nato dalle esigenze e dalle provocazioni degli artisti) e alla questione di trovare un rapporto con realtà declinato in due moti: non si dà teatro senza la realtà e, allo stesso tempo, è qualcosa d’altro in quanto diventa riflesso della realtà. In questa ottica, le due drammaturgie che affronterai come si pongono in relazione a questa concezione della realtà e al dover ricreare un rapporto col pubblico (quest’ultimo aspetto lo ha evidenziato più volte Leonardo Lidi parlando del Ginesio Fest)?.

«So che Longhi ha lasciato spazio di decisione agli artisti, facendo scegliere ciò che fosse meglio per loro e, quindi, cosa li connette con la realtà del momento. Lisa ha effettuato una ricerca spasmodica di questo testo da mettere in scena, erano anni che lei e Alessandro Ferroni cercavano un testo nuovo, hanno letto di tutto (in particolare drammaturgie inglesi e australiane) fino ad approdare ad “Anatomia di un suicidio”. A quanto so Alessandro ne è rimasto ‘illuminato’, il che è bizzarro perché narra del femminile in modo assoluto, le tre linee portanti sono rappresentate da e quasi tutti i personaggi che ronzano attorno sono donne. Abbiamo fatto, per ora, un periodo di prove di una settimana a luglio, per cui devo impastarci ancora bene le mani, posso dire che tocca tanti temi tra cui quello della maternità, delle nostre radici e tanto altro.
Guardando la stagione 2022-23 del Piccolo, in effetti, mi sembra che ogni artista abbia scelto un pezzettino della propria realtà. Liv, ad esempio, si concentra sul suo percorso già avviato: scrivere una nuova drammaturgia partendo da qualcosa di classico – ci accomuna partire dal passato per cercare forme nel futuro.
Avendo lasciato il direttore questa libertà, credo che ciascuno abbia compiuto delle scelte oneste e lo spettatore lo avverte: in questo senso viene connesso con la realtà. Quando uno spettacolo ha soltanto la forma e non la sostanza, il pubblico di sconnette; quando, invece, è agganciato a qualcosa di onesto ne resta catturato».

D: Ritornando al Ginesio Fest, il direttore artistico Leonardo Lidi aveva affermato: «Dopo una pandemia e con una guerra ancora in corso (e non solo in Ucraina), sono convinto che l’aspetto più importante nei festival – che, secondo me, sono stati creati per porre degli interrogativi anche sul linguaggio, sulla drammaturgia – debba essere quello di ricostruire un alfabeto con lo spettatore e, magari talvolta forzando la vena artistica, mettere sempre dei perché all’inizio di un processo creativo. Penso sia doveroso pensando pure a un pubblico che, nonostante le mascherine e la fatica di uscire di casa, è rimasto fedele al teatro; il che non significa accontentare sempre le richieste, ma cercare di effettuare un progetto in condivisione». Rilanciando queste parole sul tuo percorso e, rispetto a San Ginesio, che voglia diventare il borgo degli attori, cosa ne pensi?

«Lo specifico di San Ginesio credo che stia nella necessità. Mi spiego più dettagliatamente: il fatto che sia partito tutto grazie a Isabella Parrucci da una realtà sfortunata a causa delle vicende del terremoto, implica un determinato approccio. Non parliamo di una grande città come Roma o Milano, ma di un paesino dove l’arte veramente può essere necessaria per dare una rinascita perché serve ad alimentare lo spirito delle persone. Ho trovato meraviglioso che un festival del genere fosse contestualizzato in questo borgo. A proposito di ciò che ha affermato Leonardo, penso che se l’indagine dell’artista è onesta, può anche usare tutte le forme e i linguaggi più bizzarri, ma poi lo spettatore è complice».

Petra Valentini Premio San Ginesio All'Arte dell'Attore 2022
Da sx Christian La Rosa, Petra Valentini e Rodolfo di Giammarco

D: Credi che quest’ultimo vada riconquistato?

«Innegabilmente è un momento di grande crisi, da cui stanno emergendo anche tante cose interessanti da dirsi. Bisogna riformulare il rapporto col pubblico e se il rapporto con la realtà è organico, vero, sincero, allora le persone ascolteranno. Coltivo questa speranza, ma mi sembra che sia ciò che sta accadendo: il teatro si riempie perché effettivamente c’è ancora qualcuno che dall’altra parte comunica qualcosa, ci sono corpi vivi, il che non è forma, ma sostanza».

E a proposito della dedizione verso il Teatro, la Valentini lavorerà in teatro (comprendendo il periodo di prove) da fine ottobre 2022 fino a maggio 2023.

Ph Ester Rieti

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