RINASCERE è «una storia vera e contemporanea. Il film tv, coprodotto da Rai Fiction e Moviheart, con Alessio Boni e Giancarlo Commare per la regia di Umberto Marino tratto dall’omonimo libro di Manuel Bortuzzo, è previsto per domenica 8 maggio in prima serata alle 21:25 su Rai1. Una drammatica vicenda di cronaca che si rivela, giorno dopo giorno, capace di portare un messaggio di speranza.
Tutti ricordano il nome di Manuel Bortuzzo. Una promessa del nuoto italiano, certo, ma non sono i meriti sportivi a renderlo ‘famoso’ di una fama della quale avrebbe volentieri fatto a meno. Il 2 febbraio 2019, mentre si trova insieme alla fidanzata Martina, Manuel rimane vittima innocente e inconsapevole di un regolamento di conti fra delinquenti. Due colpi di pistola indirizzati alla persona sbagliata. Non era lui il bersaglio. La corsa in ospedale e la diagnosi: lesione midollare completa» (dalla nota ufficiale). Da qui parte tutto nel cambiamento dell’esistenza del protagonista.
Completano il cast Gea Dall’Orto, Salvatore Nicolella, Francesca Beggio, Pietro Giannini, Giorgia Frank, Federico Antonacci, Sara Avallone, David Coco, Viktorie Ignoto, Chiara Ferrara, Giorgio Gobbi, Mimmo Mancini, Luca Ribezzo ed Edoardo Persia.
Rinascere: le dichiarazioni dei protagonisti
Durante la presentazione alla stampa abbiamo raccolto le testimonianze di chi ha reso possibile “Rinascere”, dai produttori agli interpreti, con l’importante presenza dei protagonisti reali. Come sempre, a inaugurare la conferenza stampa è toccato alla direttrice di Rai Fiction MARIA PIA AMMIRATI: «Viviamo una fase ancora cupa, ma Manuel è un testimone di eccellenza che ci dimostra come dal buio, dalla cupezza si possa rinascere. Quando si precipita a causa di un evento negativo che rompe il tuo futuro può esserci solo una risalita. Questa non è una drammaturgia ma è la realtà. Abbiamo trasformato una storia vera in un film, interpretato da Giancarlo Commare, Alessio Boni e da un cast straordinario, raccontando senza pianti né retorica».
MASSIMILIANO LA PEGNA, Produttore Moviheart: «Sono molto felice. Quando Manuel ha scritto il libro ho preso i diritti per realizzare il film e sono stato fortunato perché ho trovato subito il sostegno di Rai Fiction. Manuel è un grande uomo, dal primo giorno in cui ci siamo incontrati ho provato una forte emozione».
MANUEL BORTUZZO: «Conoscevo Giancarlo Commare come professionista e sono stato contento che mi abbia interpretato. Rivedere il film è stata un’emozione particolare, non mi sembrava vero che fosse la mia storia, che fossi io, è stato fedele a quello che ero e che sono».
UMBERTO MARINO, il regista: «L’obiettivo era essere fedeli alla storia e laddove ci siamo distaccati dalla realtà, per necessità drammaturgiche e per la sintesi, abbiamo fatto una riunione ‘di famiglia’ per concordare le modifiche. L’altro pensiero che ho cercato di trasmettere a tutti è stata l’asciuttezza perché, da una parte si deve ottenere la commozione del pubblico, ma dall’altra non deve esserci il sentimentalismo. Gli attori mi hanno seguito in questo così come nella moderata stilizzazione veneta che abbiamo cercato di rendere. È un film realizzato con dedizione e amore».
GIANCARLO COMMARE: «Quando ho ricevuto la notizia sono andato nel panico conscio della grande responsabilità. Sono stato catapultato nel mondo di Manuel, ho dovuto iniziare ad andare anche in piscina. Ho fatto del mio meglio e ho avuto a fianco suo fratello Kevin che mi ha aiutato e con cui si è instaurato un bellissimo rapporto. Non ho avuto l’onore di conoscere prima Manuel in quanto era impegnato con il Grande Fratello Vip e ho pensato che l’unico modo che avessi per avvicinarmi a lui fosse acquistare il suo libro, che è diventato il mio punto di riferimento, la mia ‘Bibbia’, mi trasmetteva forza ed era come se lui fosse vicino a me.
Abbiamo cercato di non lavorare di imitazione, ho visto le interviste che ha fatto per raccogliere le essenze, la gestualità. Il libro mi ha permesso di conoscerlo più a fondo, di capire quello che lui stava vivendo, soprattutto quando si ritrovava da solo. È stato un viaggio molto intimo che mi ha toccato profondamente. Volevo restituire quelli che erano stati i suoi sentimenti e le sue emozioni».
ALESSIO BONI nei panni del padre, Franco Bortuzzo: «Ho interpretato nella mia carriera personaggi particolari, da Piaggio ad Ambrosoli ma non erano più in vita. Impersonare un uomo esistente è diverso. Non volevamo imitare Franco e neanche Manuel, ma, partendo da una bellissima sceneggiatura, rievocare questa drammaticità, una sorta di tragedia, che è accaduta ad un ragazzo di 19 anni. Ne abbiamo parlato a riguardo, ne parlano i giornali, però il punto cardine di questo film è la dignità con cui la famiglia Bortuzzo ha affrontato questo dolore. Ho conosciuto Manuel di persona poco prima che cominciasse la conferenza. Mi sono documentato e mi ha toccato quando, ascoltandolo in un’intervista televisiva, aveva affermato di non essere felice per la condanna dei colpevoli che gli hanno sparato e di provare dispiacere per loro poiché hanno avuto un’infanzia difficile».
FRANCO BORTUZZO: «Non ho mai partecipato e non pensavo di partecipare a un progetto così. È stato affascinante. Ho visto circa novanta persone al giorno, tutte impegnate a lavorare per rendere giustizia al film su Manuel. Non ho trovato una sbavatura, ho visto già tre volte “Rinascere” e mi sono emozionato, non ti dà mai pausa, si è ansiosi di vedere come va a finire. Sono orgoglioso del lavoro fatto e sono felice per mio figlio. La sera in cui è avvenuto l’incidente è stato devastante, un momento molto difficile per tutti… in quei frangenti ti viene da dentro una forza incredibile, è ciò che ci hanno insegnato genitori e nonni: non mollare mai e ricominciare tutto daccapo. È una forza interiore che tutti hanno, bisogna solo cercarla dentro se stessi».
Rinascere: le domande dei giornalisti
D per A. Boni: Si è verificata una scena particolarmente impegnativa?
«È un film molto delicato, bastava un nonnulla per sentirsi sulla lama del rasoio. Umberto controllava in maniera maniacale che si mantenesse l’equilibrio, avendo ben in mente lo spartito che voleva creare. C’è stata una scena parecchio complessa… non si può avere esperienza di ciò che non si conosce, non mi è mai capitato di ritrovarmi in una situazione simile, ce la si può immaginare, ma fino a un certo punto. Quando ho dovuto dire a Giancarlo/Manuel, che non avrebbe più avuto l’uso delle gambe, lo volevo fare in un modo secco, da padre che tiene le redini, ma poi mi è uscita un’emozione strana, spontanea. In quella scena magari si potrebbe rintracciare qualcosa di sbagliato come balbettamenti, imprecisioni, ma nella non precisione c’è una veridicità che commuove molto. È un doppio salto in quel momento: vorresti trattenere il pianto che come padre si porta dentro da giorni, poi alla fine esce come un fiume in piena».
D a M. Bortuzzo: Come si diceva, sei diventato di esempio, ti pesa questo senso di responsabilità?
«Avverto la responsabilità, ma non mi pesa perché per essere ciò che sono devo semplicemente essere me stesso, con tutte le mie sfaccettature, belle e brutte che siano. Mi rende felice il fatto di poter trasmettere qualcosa alle persone. Il primo grande lavoro lo faccio su me stesso – sono un ragazzo normalissimo – e poi affronto tutto in modo semplice e scorrevole».
D a G. Commare: Quali sono state le tue scene più impegnative?
«Ce ne sono state diverse, a partire dal nuoto a quelle più intime. Quella che più mi ha segnato sicuramente è stata quella del risveglio dal coma. Era una situazione di finzione, stavamo replicando qualcosa che è avvenuto nella realtà, eppure in quel momento ho proprio riflettuto: pensa se fosse tutto vero. La scena prevedeva che svegliandomi dovessi commuovermi vedendo la madre e la famiglia ed è stato come se non mi ritrovassi più nei panni di Manuel, ma vivessi direttamente quella situazione. Non stavo interpretando, mi bastava solo stare in ascolto ed è stato difficile da ‘vivere’».
D per Boni e Commare: Tenendo conto di quanto sia importante il rapporto padre-figlio, quando è scattato il punto di contatto?
A. Boni: «Immediatamente. Sapevo di dover interpretare Franco Bortuzzo già da tempo, ci siamo confrontati sempre con Umberto e quando ho avuto il numero di Franco, l’ho contattato subito per chiedergli chi fosse Manuel perché mi premeva creare questo rapporto perché so che esiste effettivamente tra Franco e Manuel nella vita reale, era fondamentale e volevo sentire l’adesione e la passione che poi crea tutto quanto. Mi sono accorto che era giustamente spaventato… Diffido dagli attori che affermano con disinvoltura: l’“Amleto” non ho problemi o rispetto al “Riccardo III”; tutte le volte che interpreto un personaggio mi tremano i polsi perché devi fare 100 passi indietro – immagino come potessi sentirsi Giancarlo che doveva vestire i panni di Manuel, che per tutti è diventato un simbolo. Ho desiderato, quindi, entrare in contatto con Giancarlo, lo conoscevo artisticamente, mi è piaciuto soprattutto in “Skam” e anche in altre sue partecipazioni. Ci siamo confrontati e ci siamo trovati subito su dei punti d’incontro e da lì è cominciato tutto il lavoro insieme. Senza togliere nulla agli altri ruoli – con Francesca Beggio abbiamo fatto anche un bellissimo lavoro – ma il rapporto più potente era con Giancarlo e l’ho sentito subito in adesione profonda, non di dimostrazione né di esibizione… è stato molto attento a questo. Voleva cercare le corde più profonde interiori, più delicate, magari non messe in evidenza dalle telecamere o dai giornali, che creavano l’intimità di Manuel.
Senza contare l’impegno sul piano fisico, sul corpo come il tenere ferme le gambe perché istintivamente gli partivano, è normale. È stato interessante proprio questo viaggio insieme a Giancarlo. Si è creato un clima incredibile, ricordo anche una telefonata lunga con Francesca dopo che aveva incontrato la madre di Manuel. Tutto ciò si è verificato perché, al di là del mestiere, è un caso che ci stava a cuore: si è cercata un’adesione totale, infinitesimale e molto umile. L’ho sentito anche sul set, volevano dare giustizia in un certo modo con questo progetto».
G. Commare: «Alessio è stato molto esaustivo. Mi sento di aggiungere che mi è capitato pochissime volte ciò che è avvenuto con lui: ho trovato e incontrato un attore con cui comunicavamo senza parlare, a volte, in silenzio, bastava guardarsi negli occhi e già ci si capiva. Questo perché siamo davvero entrati nella storia e dentro le singole storie. Mi sento molto fortunato perché, grazie al lavoro di squadra che si è creato con lui, ho potuto vivere in maniera ‘fake’ il rapporto che non ho avuto la fortuna di vivere nella vita cioè quello con mio padre e invidio molto il legame che hanno Franco e Manuel. A prescindere dal progetto, sono molto contento che, seppur in maniera ‘finta’, possa aver provato questo tipo di relazione».