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Artisticamente Magazine

Rita Maffei: «Il teatro partecipato ha riconsegnato il senso del mio lavoro»

Rita Maffei: «Il teatro partecipato ha riconsegnato il senso del mio lavoro»

Tempo di lettura: 10 minuti

 

Parlare con RITA MAFFEI di teatro partecipato significa aprire tante finestre e riscoprire, attraverso le sue parole e l’esperienza concreta, il senso di comunità che, non dimentichiamoci, è all’origine dell’idea di teatro. Attrice e regista, Presidente e co-direttrice artistica del CSS Teatro Stabile di Innovazione del FVG, ha dato il via a una serie di iniziative che hanno creato comunità, non solo nel quartier generale di Udine, ma anche in altre città come Roma e Lecce. Le (e ci auguriamo) che possa avvenire pure in altri luoghi e, se leggete il nostro dialogo, avrete modo di comprendere quali funzioni assumono per il singolo e per la collettività questi laboratori.
L’abbiamo intervistata dopo aver assistito a una replica molto intensa di “Comizi d’amore”.

D: Il titolo richiama immediatamente Pasolini. Al di là del rapporto con il territorio, cosa le restituisce istintivamente “Comizi d’amore”?

«Nel 2015 quando si commemoravano i quarant’anni  dalla sua morte, abbiamo realizzato un’iniziativa che si chiamava “Viva Pasolini!” in cui c’erano state diverse nostre produzioni tutte dedicate a Pasolini: una con Battiston, un’altra con Luigi Lo Cascio e ancora con Virgilio Sieni, Ricci e Forte e una l’avevo curata io. Si intitolava “Il treno” perché si ricostruiva il viaggio che nel 1950 Pasolini fece dalla stazione di Casarsa, dove viveva coi suoi genitori, e insieme a sua madre scappò alla volta di Roma. Questo spettacolo ha unito una serie di studi che avevamo fatto sull’artista in quanto ripercorreva tutta la vita e la carriera, era costruito in dodici episodi, ognuno dei quali della durata di mezz’ora (in totale, quindi, sei ore). Alla fine abbiamo fatto anche una ‘maratona’ in cui venivano rappresentati tutti i vari episodi uno dietro l’altro e le sei ore stavano a significare anche quanto impiegò allora da Casarsa a Roma in treno. Lo spazio scenico era costituito da scompartimenti di treno, all’interno dei quali sedevano 6 spettatori proprio come avveniva nei treni di una volta e, in quello che nella realtà sarebbe stato il finestrino del treno, avevamo scelto di proiettare il vero e proprio viaggio (ciò che si vedrebbe oggi attaccando una telecamera al finestrino).

Il Treno CSS
Al termine del viaggio si trovava la sabbia perché corrispondeva con la spiaggia di Ostia dov’è finita la vita di Pasolini. Questo percorso ci ha permesso di conoscere questo intellettuale così sfaccettato in maniera ancora più approfondita e fin da allora è nata la volontà di lavorare su “Comizi d’amore” proprio perché il tema legato alla sua personale visione delle relazioni è stato in quello spettacolo centrale. A ciò, si è sommata la pratica che in questi anni ci ha caratterizzati… mi riferisco al lavoro sul teatro participato e quindi l’incontro coi cittadini, raccogliendo le testimonianze sull’amore, sul sesso e sulle relazioni.
Abbiamo riletto quell’indagine compiuta da lui con lo sguardo di oggi. Ovviamente tra noi e quel film c’è di mezzo il 68 che ha cambiato completamente le abitudini sessuali e di relazione degli italiani e non solo, direi di tutto il mondo. In particolare il rapporto che le donne hanno con la propria sessualità, col proprio corpo con la vita di relazione è mutati completamente perché nel ’68 ha scoperto, per la prima volta nella storia, la possibilità di rivendicare anche il piacere».

D: Nel caso de “Il treno” chi erano gli interpreti?

«La compagnia era composta da attori professionisti, con una piccola componente di teatro partecipato, direi un ‘proto-partecipato’ perché gli spettatori, all’ingresso, ricevevano una piccola scheda con delle domande a cui, se volevano, potevano rispondere. Tutte queste schede sono state appese sul soffitto della sala in modo che potessero entrare a far parte della scenografia dello spettacolo e poi alla fine si potevano leggere le risposte – parlo di proto-partecipato perché tutto questo non rientrava nello spettacolo, rimaneva una testimonianza appesa al soffitto, come se fossero i pensieri di chi aveva abitato quel luogo nelle varie repliche».

Il Treno CSS

D: Come si è svolta la preparazione, invece, di “Comizi d’amore”?

«Ci siamo visti per sei mesi, da aprile una volta a settimana, poi c’è stata una piccola sospensione nel mese di agosto, per poi riprendere con due incontri a settimana da settembre così da debuttare a fine dicembre».

D: Durante la rappresentazione emergeva la bravura, in particolare, di qualcuno. Forse le donne erano più sicure di sé…

«Nel 2018 abbiamo fatto un’esperienza, “L’Assemblea”, in cui si è lavorato solo con donne per cui si può dire che ‘lo zoccolo duro’ ha questo background in più».

D: Come racconterebbe l’approccio nel laboratorio?

«Si è cominciato con le domande essenziali. C’è chi mi  segue già da diversi anni e, al contempo, molte persone che vengono per la prima volta, parto sempre da zero, come se fosse la prima volta per tutti. Il 3 aprile siamo partiti dalla prima domanda di Pasolini nel film, che si mostra in video, quando lui, per strafa chiede ai bambini se sanno come nascono i bambini. Noi che siamo adulti ci siamo interrogati su quando abbiamo scoperto come nascono i bambini. Da lì poi si sono sviluppati tutta una serie di altri interrogativi che abbiamo preso sia dal film (alcuni non potevamo inserirli in quanto ormai desueti, ad esempio, cosa ne pensi della legge Merlin? o Cosa pensi degli ‘invertiti’?) sia confrontandoci, approfondendo delle tematiche legate non soltanto alla sfera sessuale, ma anche a quella dell’educazione sentimentale e a quel che abbiamo deciso di rispondere. In più ognuno di loro ha avuto come compito la scelta di un’immagine (ci è stata posta sul banco dove si era seduti, nda) come risposta alla domanda: dove, nella tua esperienza di vita, individui l’inizio della tua educazione sentimentale e così qualcuno ha risposto nella relazione con i genitori, chi nella relazione col primo amore, le prime cotte, ma anche chi ha conosciuto semplicemente relazioni d’amore con se stesso o qualcuno ha risposto quando ha avuto il primo cane».

Rita Maffei teatro partecipato
Ph Alice BL Durigatto

D: Qual è la chiave per riuscire a creare questo contatto così forte?… In fondo perché stiamo parlando di tematiche anche delicate, in cui deve verificarsi una certa confidenza nel gruppo e di fiducia nei suoi confronti…

«Io certe cose so spiegarle; altre no. So che esistono dei fili sottili che nascono nel rapportarsi con le persone e a cui non saprei dare nome se non quello di empatia perché chi fa questo lavoro sa bene che il regista del teatro partecipato deve avere delle doti di empatia assolute, ancor di più di quante siano necessarie per fare la regia dello spettacolo teatrale con dei professionisti. In secondo luogo deve fare un passo indietro: non può agire come se avesse degli attori professionisti, deve essere sempre in ascolto, con le antenne dritte dal punto di vista pratico per capire quando è il caso di fare una determinata ricerca e quando, invece, è il caso di fermarsi e lasciare che magari passi il tempo perché la persona trovi la fiducia in se stessa e nell’altro. Esistono delle piccole regole che ci siamo dati fin dal primo giorno: la prima è la sospensione del giudizio. Stiamo molto attenti nel non permettere mai a nessuno di noi di esprimere giudizi sull’altro perché nel momento in cui io dico bravo o qualcun altro dice mi sei piaciuto scatta la dinamica del giudizio oppure se qualcuno afferma qualcosa anche di scomodo la si deve accettare per come è. Non deve esserci mai una forma di giudizio nei confronti di ciò che qualcuno ha espresso. Si devono sentire liberi di esprimersi come desiderano, senza sentirsi giudicati nei contenuti e nella qualità della forma perché nessuno di loro è attore quindi non devono sentirsi giudicati né nel bene né nel male perché anche dire».

Rita Maffei Comizi d’amore
Ph Alice BL Durigatto

D: Quanto è difficile farlo capire?

«Quando qualcuno propone qualcosa che sia una immagine, una fotografia che ha fatto, un disegno, un brano o un pezzo recitato o ancora qualcosa di danzato, al termine di questa ‘
esibizione’ la persona che l’ha proposta non ha diritto di parola, tutti gli altri la analizzano. In questa analisi non c’è mai giudizio, se qualcuno dovesse cadere nella trappola del ‘mi è piaciuto’, io intervengo subito suggerendo che dobbiamo dire cosa abbiamo visto o che cosa abbiamo sentito, per ciò che si può nella maniera più oggettiva possibile. Quando tutti hanno detto la loro, la persona che ha fatto la piccola esibizione spiega che cosa voleva dire e si confronta con quello che gli altri hanno colto. Tutto questo percorso fa sì che gli altri si fidino di te e tu ti fidi di loro.
La seconda regola per me fondamentale – e non bisogna mai darla per scontata – è il rispetto dell’altro. Abbiamo il diritto di esprimerci in qualunque modo e abbiamo il dovere di non cadere mai nella mancanza di rispetto. Nel momento in cui si dimostra che queste regole vengono rispettate scatta la fiducia e devo riconoscere che le regole vengono semplicemente dette all’inizio e non c’è quasi mai la necessità di ribadirle. Va riconosciuto anche ‘una sorta di contagio’ tra le persone e quindi chi partecipa a questo tipo di iniziative ha già di per sé la predisposizione all’ascolto, alla disponibilità, all’apertura nei confronti dell’altro, all’empatia».

Rita Maffei Comizi d’amore
Ph Alice BL Durigatto

D: A Udine ha la possibilità di effettuare un percorso così lungo sul piano laboratoriale, se dovesse dire cosa le ha smosso a livello di umanità, oltre che di arricchimento, questo genere di percorso?

«È tornato il senso del mio lavoro. Nel 2012 avevo smesso di lavorare in scena perché non trovavo più il senso di quello che stavo facendo. Per quattro anni ho fatto semplicemente lavoro d’ufficio e portato avanti la direzione artistica di questo teatro. Grazie alla prima esperienza del teatro partecipato mi è tornata la forza di riprendere il lavoro sia di attrice che regista, mi ha riconsegnato il senso del mio lavoro. Sicuramente ha una fortissima valenza sociale prima ancora che artistica, poi, ogni tanto, ci viene anche bene dal punto di vista artisico e ne siamo molto felici; però ti dà modo di cogliere non soltanto la potenza di un’esperienza espressiva ma anche la potenza della creazione di una comunità perché la comunità non nasce soltanto nel momento in cui ci si trova bene nell’andare fuori a mangiare una pizza insieme, ma nel percorso creativo comune… Le relazioni cambiano completamente di segno, non sono più legate solo al piacere di stare insieme all’altro (che sicuramente c’è), ma il percorso comune rende la qualità dei rapporti molto più profondi, intimi e forti.

Rita Maffei Comizi d’amore
Ph Alice BL Durigatto

D: Forse in questi anni, ancor più con la sospensione durante il covid, il senso della comunità si è perso nonostante le belle parole e intenzioni soprattutto quando era appena comparsa la pandemia… Oggi i dati dicono che le sale teatrali siano più frequentate rispetto a quelle cinematografiche.

«Non abbiamo mai smesso di fare laboratori. Quando è scoppiata la pandemia nel 2020 stavamo facendo un lavoro che si chiamava “Gli Altri” e noi li intendevamo come coloro che si distinguono da noi, di cui qualcuno ha paura, che qualcuno di noi vorrebbe escludere. Gli altri sono quelli che magari parlano una lingua diversa dalla nostra, che hanno dei gusti ed esigenze differenti, che sono più ricchi o più poveri… rientrava anche il rifiuto dello straniero. Improvvisamente esplode la pandemia, noi continuiamo a vederci on-line e pian piano ci rendiamo conto che gli altri cambiano di segno: non sono più coloro che provocano tensioni sociali, ma ci mancano. Prima diventano coloro di cui abbiamo paura perché la pandemia faceva sì che gli altri dovessero essere esclusi dal nostro campo d’azione – il famoso distanziamento sociale che continuavo a dire fisico – e subito dopo ne avvertivamo la mancanza. Al termine del primo lockdown, quando hanno riaperto, abbiamo realizzato un percorso itinerante audio-guidato nella nostra città: tutti i partecipanti al laboratorio avevano registrato dei racconti legati alla città dando vita a un racconto collettivo attraverso le memorie dei cittadini in luoghi di Udine. Si poteva ascoltare andando in bicicletta. Una sorta di ritrovamento della memoria collettiva, non di persona perché non era ancora possibile ma attraverso questo podcast.

Rita Maffei teatro partecipato
Siamo andati avanti con la mascherina con il secondo lockdown e ho visto nei partecipanti il desiderio di proseguire. A un certo punto hanno tolto la possibilità di arrivare a Udine dai paesi circostanti perché al di sopra di un certo numero di km non si poteva andare. È scattata una resilienza con un doppio laboratorio, realizzandone uno online per chi non poteva più esserci fisicamente. Soffrivo tantissimo con la mascherina e nel rivolgermi anche alla webcam.  Nel giugno 2021, alla fine del secondo lockdown, abbiamo finalmente portato in scena “Gli Altri” abbiamo fatto uno spettacolo di quattro ore, avevamo provato talmente tanto che dovevamo dar sfogo a tutto il lavoro compiuto. Questo spettacolo si caratterizzava nel dare al pubblico la possibilità di entrare e uscire quando voleva, la fruizione era completamente libera. Dopo quel forte periodo di covid sono sicuramente cambiate la qualità dello stare insieme, la consapevolezza che prima si dava per scontata, una qualità di rapporto diverso.
Nel caso del teatro e ancora di più di quello partecipato si tratta di comunità e quindi fa sì che le persone che vi partecipino vivino un’esperienza artistica e nel caso anche creativa comune e questo moltiplica la forza e la potenza dell’esperienza».

D: Si può dire che siamo di fronte a un format, che ha già portato in giro con gli spettacoli che ha citato. 13 e 14 maggio andrete in scena a Lecce, anche se la preparazione inizia a febbraio.

«Mentre a Udine posso indirizzare meglio tempo e lavoro; ad esempio nel caso de “L’Assemblea” a Roma ho realizzato diversi appuntamenti nell’arco di tre mesi di preparazione. Se a Udine ho il tempo della ricerca, quando il ‘format’ ancora non esiste devo cercarlo insieme i partecipanti. A Lecce ci sono state centoventi donne dagli undici agli ottant’anni, per “Comizi d’amore” ho chiesto che ci fossero degli uomini perché sono una componente importante».

D: Ha notato differenze tra Nord, Centro e Sud?

«A Roma ho conosciuto coloro che hanno fatto le vere battaglie femministe nel ’68, che scappavano dalle cariche della polizia. A Lecce sono emerse tante testimonianze di madri, la questione dell’indipendenza economica».

D: Quella sul ’68 è stata quella che ha avuto più occasioni di essere replicata in altre città. Se penso a Milano e a ciò che è avvenuto in quel periodo, chissà cosa emergerebbe…

«Sarebbe stimolante realizzarlo a Milano e non solo. È un ruolo molto importante farsi testimone di cose che non possono passare attraverso gli strumenti della scuola. Ci tengo tantissimo, non posso stare in scena per esibirmi, ma per dare spazio e voce a una comunità che si ritrova attraverso il teatro. Si crea una comunità in tutti i luoghi dove diamo corpo a questo percorso, una comunità che si riconosce».

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