Close

Artisticamente Magazine

Stefano Cocco, ‘Uomo delle Stelle’: «Nella corsa a premi si è persa un po’ la gioia di condividere»

Stefano Cocco, ‘Uomo delle Stelle’: «Nella corsa a premi si è persa un po’ la gioia di condividere»

Tempo di lettura: 5 minuti

 

STEFANO COCCO è l’Uomo delle Stelle… detto così ha un sapore cinematografico e sognante, poi, ‘tornando coi piedi per terra’, scopriamo a cosa si riferisce. L’uomo è un critico enogastronomico, fondatore di “So Wine So Food (sito e rivista in ben otto lingue su chef e cantine), il quale, nei dieci episodi diretti da Alessandro Guida, ha dato prova della disinvoltura davanti allo schermo e di come, con la chiave del divertissement, si possano mettere in luce i punti deboli – talvolta buffi – del mondo dell’enogastronomia (compresi i commensali). Proprio da qui abbiamo cominciato il nostro dialogo con Cocco.

Stefano Cocco, Uomo delle Stelle: intervista


D: Com’è nato ogni episodio di “So Wine So Food – Uomo delle Stelle”?

«Prima di scrivere le puntate gli autori (lo stesso regista, Nicola Conversa, Rebecca Gatti, Simonetta Greco, Alessandra Martellini, Giacomo Spaconi e Silvia Vitale, nda) hanno letto il mio blog da cui hanno cercato di prendere spunto per mettere in scena cose che fossero realmente accadute nei vari ristoranti in cui faccio consulenza e che fossero credibili.
Io sono stato me stesso e devo riconoscere che, anche se le puntate sono molto brevi, sono ricche di contenuto. Abbiamo impiegato cura e tempo nel girarle dovendo condensare in 10 minuti tanti spunti che volevamo porre. Gli altri, essendo attori, si sono immedesimati nel proprio ruolo. Il mondo della cucina è trasversale perciò, pur non essendo dei grandi cuochi, erano tutti molto interessati».

D: Partendo dalla questione provocatoria e, al contempo, giusta di una chef, quanto secondo lei si sta sdoganando a livello italiano visto che l’estero sembra più avanti di noi?

«All’estero sono molto più avanti di noi sotto molti punti di vista, soprattutto per quanto riguarda sessismo e razzismo – diciamo di non esserlo, ma talvolta dimostriamo il contrario.
Per quanto riguarda la chef l’idea era proprio quella di aumentare le quote rosa tenendo conto che nel cast fisso erano tutti uomini. Le dà corpo Federica De Benedittis ed è bravissima. Andando in giro per il mondo, constato che ci sono molte più chef, tecnicamente davvero avanti, sanno gestire ottimamente la brigata (anche composta da trenta persone), c’è meno competizione anche perché la donna, in generale, è molto più precisa e metodica. Se ci pensiamo: a casa mia cucinava mia madre, prima mia nonna; poi col tempo gli uomini sono diventati chef perché ci siamo appropriati di qualsiasi professione».

D: Pensando alle pillole che lancia alla fine di ogni episodio, qual è quella più da raccogliere nella vita quotidiana?

«La più importante probabilmente è quella presente nell’ultima puntata in cui affermo che le stelle, le recensioni sono importanti, però quando ci si riunisce per mangiare, lo si fa con l’intento di trascorrere una serata diversa, si vuole ridere, socializzare. Probabilmente nella corsa a premi, citazioni, ecc. si sono perse un po’ la gioia di condividere e la genuinità, il pensiero di far venire un ospite al proprio ristorante e mostrargli quella che, in fondo, è la propria casa».

D: Ritiene che in questo abbiano influito questi ultimi due anni, oltre all’ispirazione dell’animale sociale che è l’uomo?

«Paradossalmente, anche se il settore è andato in crisi a causa del covid, si è delineato un nuovo tipo di ristorazione: quella di grande livello è rimasta intatta, quella ‘veloce’ idem; mentre quella del ristorante medio ha subito un forte scossone per cui si è livellato tutto verso l’alto. Forse questi due anni di pandemia, che avrebbero potuto suggerire a ciascun membro del settore (lo intende come risvolto della medaglia ‘positivo’, nda): state rilassati perché può accadere di tutto, hanno incentivato le persone alla corsa a premi e punteggi per risultare meglio dell’altro».

Stefano Cocco
In foto Stefano Cocco e il regista Alessandro Guida

D: Ho notato come spesso, anche nei servizi dei telegiornali, si dava maggior spazio ai ristoratori rispetto agli artisti, tanto che sono arrivata a domandarmi: perché riescono a farsi sentire di più o se vogliamo a prendersi quello spazio per far sentire la propria voce? Lei se l’è posta come domanda?

«A Roma sono Presidente di un’associazione di ristoratori e tutti si lamentavano suggerendo delle azioni tra cui quella di andare in piazza. Il ristorante, anche quello importante, è un agglomerato di persone che vanno lì tutti i giorni; gli accordi migliori spesso si siglano proprio durante un pranzo o una cena. Non si sa che il 90% dei ristoratori sono protagonisti della politica, dello sport e del costume nostrani, in quanto al ristorante ci vanno tutti – sicuramente un numero maggiore rispetto a chi va a teatro o al cinema. Oggi uno chef importante è più seguito di un grande attore, ho realizzato delle dirette sui social è attiravano tantissimo, viene visto come se fosse una ‘divinità’ – ciò deriva anche dai programmi televisivi».

D: Nella serie ci sono delle frecciate verso gli influencer; in base alla sua esperienza e al suo sguardo, c’è qualcosa che salverebbe dalle trasmissioni a cui faceva cenno.

«Il discorso degli influencer mi sta molto a cuore: io non lo sono, anche se avrei molte più cose da dire di tanti altri influencer. Dietro ci devono essere studi e gavetta, il 90% dei critici gastronomici italiani non sa cucinare. Dobbiamo essere scevri da condizionamenti per cui bisognerebbe sapere ciò di cui si sta mangiando e magari saperlo fare, sapere cosa voglia dire stare dodici ore in cucina.
Salverei, ad esempio, l’essere programma per chef amatoriali; non il contorno composto da chi giudica o l’influencer di turno. Ci vuole uno chef, uno che insegna e, dall’altra parte, colui che impara».

D: Visto il registro leggero dei vostri episodi, per il pubblico potrebbe esserci uno stimolo per arrivare a pensarla come evidenzia lei: preferisco seguire quel critico perché è competente e ha studiato? O nel caso del cinema individuare chi possa essere un punto di riferimento…

«Nessun esperto della ristorazione ha commentato la serie: li incontro, ma non si esprimono. So bene che hanno visto gli episodi e che ne hanno parlato; non dicono nulla perché sono legati alla vecchia tradizione italiana di fare gruppo. Noi abbiamo provato a scardinare questo mondo, ci vorrebbero altre due/tre serie così, se Sky ci darà la possibilità, magari aumentando di alcuni minuti, trattando argomenti ancora più spinosi, sempre con ilarità, però dicendo le cose come stanno».

D: Dove vorrebbe impastare maggiormente le mani?

«Mi piacerebbe molto approfondire le professionalità insite nel mondo del ristorante. Una volta si diceva: se non studi, ti mando a fare il cameriere come se fosse la cosa più semplice del mondo; invece è complicato, bisogna apprendere il rispetto per il cliente, come si portano alcuni cibi in tavola o ancora il servizio alla francese. Adesso viene molto bistrattata come professione perché si è creata una bassa considerazione. Un maître di sala è una figura centrale, eppure capita che in alcuni locali siano improvvisati. Realizzerei proprio una puntata in cui facciamo i colloqui».

Stefano Cocco Uomo delle Stelle

D: A un tratto la ascoltiamo dire: «Affidarsi a chi cucina». Quanto è difficile? A me piace l’idea di essere guidata

«Quello dovrebbe essere l’atteggiamento giusto. Il problema sta nel fatto che spessissimo i ristoranti, non essendo gestiti da professionisti, si trovano un po’ in difficoltà e quindi, ad esempio, suggeriscono di provare tutto a base di pesce ma magari è decongelato. Dopo alcune esperienze, si è creata una forma mentis derivante da scottature e, quindi, sceglie il cliente. Se si va dalla propria madre è naturale che ci si affidi.
Lo dico da ristoratore, anche la categoria non si fa voler bene. Sarebbe perfetto come facevano nell’antica Roma, una sorta di fish o meat market dove si propone all’utente ciò che si è trovato al mercato quel giorno perché è il meglio che potrebbe avere rispetto a menù lunghissimi, dove si perde l’essenza e non ci si identifica più».

D: Concludendo pensando ai prossimi obiettivi: esiste la prospettiva che possiate continuare?

«Abbiamo in cantiere di realizzare un lungometraggio su questa falsa riga e poi la seconda serie – ne abbiamo di episodi da narrare».

Close