UOMINI SI DIVENTA (Nella mente di un femminicida) è lo spettacolo con cui il Teatro Carcano ha scelto di inaugurare la settimana dedicata alla riflessione sulla violenza contro le donne con lo strumento che gli è proprio: il teatro.
#25novembre: perché?
Il 25 novembre 1960, nella Repubblica Domicana, le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Furono stuprate, torturate, massacrate e gettate in un precipizio. Nel 1981, nel primo incontro femminista latinoamericano e caraibico svoltosi in Colombia, venne deciso di celebrare il 25 novembre come la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in memoria delle sorelle Mirabal. Nel 1991 il Center for Global Leadership of Women (CWGL) avviò la Campagna dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere, proponendo attività dal 25 novembre al 10 dicembre, Giornata internazionale dei diritti umani.
Uomini si diventa: conferenza stampa
Mariangela Pitturru (curatrice del progetto #25novembre): «Il Teatro Carcano ha deciso di cominciare chiamando in causa gli uomini partendo da una produzione ad hoc “Uomini si diventa”. Dopo “Ferite a morte” abbiamo pensato che dovessero essere gli uomini a raccontare che cosa succede nella testa di chi perpetra violenza. È stato chiesto a otto autori (Massimo Carlotto, Andrea Colamedici, Pino Corrias, Edoardo Erba, Maurizio De Giovanni, Marcello Fois, Daniele Mencarelli, Francesco Pacifico) del nostro panorama letterario di provare a raccontare le pulsioni che si agitano nella testa di chi è violento nei confronti delle donne per fugare il sospetto che si tratti di raptus come troppo spesso si sente dire. Successivamente mi sono imbattuta in un post di Alessio Boni del 2023 sulla campagna ‘Io non sono carne’ contro la violenza e così l’ho contattato, gli ho raccontato dei vari monologhi e lui ha immediatamente detto: io ci sono, voglio dare voce a questi a questi uomini e voglio cercare di infondere più verità possibile a questi personaggi affinché chi li ascolta – soprattutto gli uomini – possa rintracciare qualcosa che va corretta».
Tommaso Sacchi (Assessore alla Cultura del Comune di Milano): «Vorrei dedicare un applauso al Carcano perché esce dalla singola giornata del 25 novembre, che ha un carattere fortemente simbolico, ma è anche molto bello che un teatro che è sempre stato così impegnato in prima linea, gestito da delle straordinarie figure femminili, possa mettere l’accento su un tema urgente, un’emergenza sociale tutt’altro che superata. Sono altrettanto orgoglioso di come venga gestito il racconto intorno a questa lotta incessante contro la violenza sulle donne. Alessio e Omar sono due artisti eccezionali e mi fa piacere che Milano possa contare su di voi».
Alessio Boni: «Nel mio piccolo cerco di essere vicino veramente a questa situazione, forse proprio perché provengo da una famiglia più matriarcale.
Ho avuto mia nonna Maddalena e ho ancora mia madre Roberta, colonne portanti e per i miei fratelli (Marco e Andrea) sono state essenziali. Un punto di riferimento più di mio padre, che era un bravissimo uomo che andava a lavorare, faceva il piastrellista, tornava la sera, mangiava e si addormentava. La gestione del tutto era affidata a mia madre e mia nonna. Mamma lavorava in negozio e nonna mi assisteva. Sentivo questa saggezza, ovviamente popolare, di una signora nata nel 1908 e sono consapevole che bisogna partire dalla parola. Una volta eravamo a una festa, scartai qualcosa e gettai per terra la carta: mi presi uno schiaffo da nonna. Le risposi stupito e lei mi replicò: “Tu fai il tuo, prendi quella carta”. Non l’ho più fatto in vita mia, avevo otto anni.
Io e Omar siamo i primi a metterci in croce, noi non siamo salvi da queste cose. Anch’io probabilmente ho detto: “Smetti di frignare come una bambina”. Anch’io ho detto: “Ma guarda quella come si è messa accanto con la macchina, è una donna”… perché vengo da quel retaggio lì per cui siamo i primi a metterci in gioco così come si sono messi in gioco gli otto autori si è messo in gioco il tonnato. Il patriarcato esiste tanto quanto la mafia e continua a imperare su di noi perché viene dal DNA. Quello che vogliamo toccare in questo spettacolo non è il femminicida, sarebbe facile. Ovvio che ci dispiace per tutte le donne che sono morte e muoiono in quel modo. Desideriamo affrontare il substrato. Siamo noi, che pensiamo di pagare le tasse, di comportarci bene, di essere dei pari, poi ce ne usciamo con frasi come: “Fammi da mangiare” o se si hanno due figli, magari un maschio e una femmina, si indica alla bambina di apparecchiare la femmina. Dobbiamo smetterla di fare queste differenze. Dobbiamo essere tutti uguali.
Mio figlio Lorenzo di tre anni, tornando dal suo primo giorno di scuola, mi ha detto: “Papà, è vero che gli uomini sono più forti delle donne”. C’è gente che ancora a 60 anni e non sa cucinarsi un uovo perché lo fa la donna. Siamo ridicoli e io voglio mettermi in primis in questo essere ridicolo perché dobbiamo smetterla, partendo dalle parole, dai gesti quotidiani. È inutile aprire la portiera alla moglie, portare i fiori, se poi dopo la si tratta in un determinato modo dentro casa.
I femminicidi sono partiti proprio quando la donna ha cominciato a dire la propria. Sto parlando di questo spettacolo con mia madre e mi ha confessato che lei non ha mai aderito a nessun pensiero di mio padre, ma stava zitta, funzionava così.
Alcune donne hanno alzato la testa, punta dell’iceberg: sono state ammazzate; ma è follia pura! In questo siamo ancora nel terzo mondo».
Omar Pedrini: «Alessio ha detto tutto dal punto di vista umano, sociale, filosofico e condivido totalmente. Da musicista, in scena, cerco di fare da contrappunto a lui perché ho avuto il privilegio di essere il primo ascoltatore e non vi nascondo che se mi dovessi fermare ad ascoltare troppo Alessio, mi ruberebbe le note perché rimango turbato. Mi auguro che ci siano tanti uomini tra gli spettatori perché fa bene a noi. Io stesso mi sono riconosciuto e mi sono vergognato per alcune frasi o pensieri. Sin da piccoli si crea il substrato. Gli otto autori hanno fatto emergere il geloso, il possessivo, l’uomo che crede che la donna non debba lavorare, c’è quello che chiude in casa la moglie per andare a vedere la partita… Io torno alle mie origini di chitarrista, con una chicca “Sole spento” al femminile».
Dopo il debutto milanese, c’è tutta la volontà di far girare il più possibile lo spettacolo.
Ph cover Gianmarco Chieregato