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Artisticamente Magazine

Vittorio Grigolo: «La musica serve per portare ragione ed equilibrio»

Vittorio Grigolo: «La musica serve per portare ragione ed equilibrio»

Tempo di lettura: 6 minuti

 

Nel corso del dialogo con un artista come VITTORIO GRIGOLO sin da subito si percepisce l’amore per la professione che ha scelto, per cui si impegna costantemente e, su tutto, l’amore per la Bellezza dell’Arte. A questo si aggiunge una grande consapevolezza della situazione, dello strumento che può essere lui nel comunicare l’Opera Lirica. Il suo percorso si può dire che sia stato segnato da “La Bohème” di Giacomo Puccini. Nel 2010, infatti, debutta oltreoceano come Rodolfo e subito diviene una star della Metropolitan Opera di New York. Il New York Times descrive la sua voce come «uno strumento attraente, ardente e flessibile» che il tenore sa gestire «con passione». Nel 2024 torna in Arena per la prima volta come Rodolfo ne “La Bohème”, progetto speciale del 101° Opera Festival per il centenario pucciniano.

L’entusiasmo di Grigolo per il ritorno in Arena e il lavoro su quest’opera

«La Bohème è incentrata su questi sei caratteri che vanno a tessere questa trama. I bohémiens di questo periodo fantastico. Alfonso Signorini è un fine conoscitore del libretto e della storia, ho avuto modo di conoscerlo già a livello registico ed è molto attento nel leggere tutte le note didascaliche».

Vittorio Grigolo intervista
Vittorio Grigolo ne “La Traviata” – credits EnneviFoto/Fondazione Arena di Verona

D: Rodolfo è un ruolo che le sta molto addosso e a cuore

«È uno dei miei cavalli di battaglia. La prima volta ci ho lavorato nel 2007 con il maestro Luciano Pavarotti. Ero un giovane aitante, pieno di speranze che andava a conquistarsi l’America col debutto a Washington. Per me, dopo tantissimi anni e avendo calcato palcoscenici da Vienna a Parigi, tornare in Arena con il mio debutto con questo personaggio mi emoziona molto».

D: Quale bagaglio si porta tenendo conto di questo vissuto?

«Di esperienze personali che riguardano più il lato emozionale. Ogni volta che affronto un ruolo, specialmente se si tratta di una nuova produzione, mi ci approccio sotto una nuova forma. Cerco sempre di essere il più pulito possibile, una tazza vuota un po’ come il maestro delle arti marziali, dove l’allievo diceva al maestro: domani mi insegnerai questo stile, dopodomani un altro e, mentre gli versava il the, il maestro ha fatto traboccare la tazza. Alla reazione stupita del ragazzo, lui sottolinea di aver fatto una premonizione: buttar via tutto ciò che si porta dietro e dall’indomani iniziare a riempirla».

D: Si può dire che c’è un legame particolare tra lei e Puccini?

«Lo Yin e lo Yang della mia carriera sono rispettivamente Verdi e Puccini, il lato chiaro e quello oscuro. Sono molto attratto da Puccini perché è la passione tradotta in musica senza metrica, è una molla che si smolla e poi ritorna al suo punto morto, nel senso di punto di partenza per questo è molto difficile per chi dirige seguire anche un teatrante che ha giustamente le proprie visioni ed emozioni da voler esprimere. La musica di Puccini ti fa davvero pensare che ancora c’è possibilità nel mondo di potersi innamorare… ci lascia l’incanto e il sogno».

D: Tornando a questa Bohème, la sovrintendente di Fondazione Arena, Cecilia Gasdia, in conferenza stampa, ha voluto evidenziare come si sia voluto unire varie forze per raggiungere un pubblico più ampio. Per il grande pubblico che non sa, proprio perché lo si può ignorare, che Signorini ha determinate competenze…

«Il grande pubblico [lo dice con rammarico e senso di realtà] oggi acclama tenori che non lo sono o cantanti che non sono cantanti lirici. Una persona può essere famosa nella nostra società non avendo nessun talento. La ‘massa’ non ha cognizione di quanto Alfonso Signorini sia un conoscitore, studia, lavora ed è appassionato di opera. Ha fatto anche delle pubblicazioni sulla Callas e non solo. È un melomane per cui nasce con la conoscenza e l’amore per quest’arte; tutti lo incasellano come il conduttore di un reality o il direttore di un settimanale. Sono sicuro che la gente rimarrà stupita e inquadrerà il maestro Signorini sotto un altro lato. In più ci tengo a ricordare che verrà trasmessa per cui, al di là delle date del 19 e 27 luglio, avrà modo di raggiungere un’ampia platea. Bisognerebbe rendere l’opera più fruibile (mi riferisco anche all’accessibilità economica)».

Vittorio Grigolo
dalla serata omaggio del 7 giugno 2024 “La grande opera italiana” – credits EnneviFoto/Fondazione Arena di Verona

Vittorio Grigolo testimone anche all’estero


D:
Lei ha portato il patrimonio del Bel Canto anche all’estero ed è proprio questo aspetto dell’opera che l’Unesco ha riconosciuto di dover salvaguardare come patrimonio

«È l’obiettivo importante. Sono testimone anche di un fraseggio, di una tecnica, di portare una scuola, un pensiero perché l’opera è italiana. Gli ambasciatori primari siamo noi, tutti gli altri vengono dopo. L’UNESCO ha dato questo riconoscimento perché è un pilastro fondamentale: quando c’è cultura c’è dialogo, quando c’è cultura c’è ragionevolezza da parte degli esseri umani ed è per questo che la musica è utile. Serve per portare ragione, equilibrio e tutti noi non ne possiamo fare a meno. Il canto lirico ancora di più perché coinvolge il corpo, che è la cassa di risonanza di questo ‘strumento’. La cultura, la base nasce proprio da un suono che si propaga senza alcun artefatto, in un teatro chiuso con migliaia di persone che possono usufruire e fruire di queste vibrazioni».

Vittorio Grigolo intervista
Grigolo in “Tosca” – credits EnneviFoto/Fondazione Arena di Verona

«Tornando all’essere testimone (con Pavarotti che gli lasciò questo ‘peso’ e lo chiamavano il ‘pavarottino’, nda), il termine, che proviene dal latino, significa martire. Quindi testimoniare vuol dire, da un lato, soffrire ed è vero, nel senso che per reggerlo, da qualche parte bisogna sacrificarsi. C’è il bello come il riconoscimento del pubblico, dell’UNESCO; al contempo va fatto comprendere come l’opera sia l’arte dello studio del canto lirico (che non può nascere da un social media). Mediaticamente l’opera ha bisogno di essere ascoltata e avere sempre più spazio. Per fare questo mestiere bisogna sacrificarsi dall’avere cura di sé (dal corpo alla voce) passando per la gavetta e la vita privata. Questo testimone è per me molto importante, l’ho portato in giro per il mondo e continuerò a farlo fino a quando Dio, la forza, le mie costanza, perseveranza e consistenza mi garantiranno di farlo. Un altro grande atto di testimonianza è accaduto proprio in Arena quando, durante il covid, dopo il discorso del Presidente del 2 giugno, abbiamo voluto fare questo passaggio per trasmettere di non avere paura con “Nessun dorma” e il Canto degli italiani».

D: Quanto si è dovuto sacrificare per arrivare al livello attuale?

«Non c’è mai un livello. ‘Rubando’ a un artista che ha ricevuto un premio Oscar, il quale ha detto che finché rincorreva se stesso, non si sarebbe mai fermato. Il fatto di non definire un livello non fa sedere sugli allori, c’è sempre il desiderio di una crescita. All’inizio del percorso, da adolescente, credo siano stati i sacrifici che ho avvertito di più; ma andando ancor più a ritroso a quattro anni cantavo, a otto ero in Cappella Sistina e a undici giravo in tournée col coro. Vivevo già questa ‘clausura’. La voce è un dono meraviglioso ma anche molto delicato di cui bisogna prendersi cura. Crescendo, si comprende anche che gestendo il livello, si può anche vivere un po’ di più».

I prossimi impegni di Vittorio Grigolo

«24 e 31 luglio sono con “Tosca” alle Terme di Caracalla e mi fa molto piacere ritornare a Roma, sperimentando il palco incredibile di Caracalla. A fine luglio prenderò parte, nella capitale, a una serata con la polizia di Stato per omaggiare il Canto lirico. Tra settembre e ottobre, prima a Vienna “Carmen” di Bizet (tra settembre e ottobre, prima a Vienna e poi ad Amburgo). Ci tengo molto anche all’omaggio a Frank Sinatra, che comincia al Festival di Ravello per poi proseguire a dicembre a Montecarlo e in tournée. Io eseguì un brano di Sinatra e Tony Renis rimase colpito (sono stato il primo a unire “E lucevan le stelle” e “The Show Must Go On” dei Queen perché, stranamente, sono scritte nella stessa tonalità), tanto da dirmi: sapevo della tua anima rock, ma che potessi fare lo swing… non lo immaginavo.

L’elemento più difficile del repertorio di Sinatra è seguire proprio la band e riuscire con la voce a fare swing. Spinto da questo riconoscimento di Renis, abbiamo accolto questo progetto di Ravello che ha gettato le basi per 22 brani, che dovrebbero confluire in un album visto anche l’anniversario di questo grandissimo artista italo-americano. Voglio ricordare l’atteso ritorno al Teatro alla Scala di Milano con “Rigoletto” per la regia di Martone, che stimo molto (ottobre ’25); il debutto di “Cavalleria rusticana” a Monaco di Baviera (nel 2025), “L’Elisir d’Amore” a Montecarlo per l’ultimo dell’anno e tanti altri lavori. [Con emozione e orgoglio vuole concludere] Infine l’album uscito ad aprile, “Verissimo: ho aspettato sei anni, non ero pronto, non ero ancora verissimo. Quando ho iniziato a registrare le arie mi sono dovuto fermare perché al mio interno non c’erano tutti i colori che avrei voluto fare; è arrivato al momento giusto».

 

Ph cover: Vittorio Grigolo in “Carmen” – Credits EnneviFoto/Fondazione Arena di Verona

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